Recensione: Ozzmosis
Ozzmosis, undicesimo disco della carriera solista dell’icona Ozzy Osbourne, esce il 24 ottobre del 1995, ed è un disco che divide in due i fan. C’è chi lo ama, al pari di tutte le altre produzioni del Madman, c’è chi invece lo accusa delle più svariate cose e lo denigra. Ma andiamo con ordine : l’album esce a due anni dal “Live and Loud”, che teoricamente doveva essere l’ultimo disco della carriera dell’ex singer dei Black Sabbath (cosa che ovviamente non fu), e a quattro dall’ultima fatica in studio, l’eccellente “No More Tears”, che alle mie orecchie è il più bel disco con Zakk Wylde, “pupillo” del singer ormai da un po’, ma a piena ragione.
Per il suo ritorno il nostro riesce a circondarsi di artisti di rilievo, col risultato di una lineup che forse è la più spaventosa che il madman abbia mai assemblato, per storicità e anche tecnica. Infatti, oltre al già citato Zakk alla chitarra troviamo i vecchi amici Geezer Butler (Black Sabbath) al basso e Rick Wakeman (Yes, ma che già aveva collaborato su “Sabbath Bloody Sabbath”) alle tastiere, oltre che al più che talentuoso Dean Castronovo (Bad English fra gli altri) dietro le pelli. Con una così spropositata quantità di classe ci si aspetterebbe un disco mostruoso, ed invece abbiamo la dimostrazione che la somma dei talenti non dà il talento complessivo.
Ozzmosis infatti, è secondo me un disco quasi sufficiente, probabilmente l’ultimo degno di nota della carriera del nostro, però lo vedo anche come un disco a metà. Non lo reputo incompiuto certo per il successo che fece (per ora se non sbaglio è doppio disco di platino), o per la presunta commercialità del prodotto (visto il sound nettamente più accessibile rispetto al solito, ma chissenefrega), quanto proprio per la sua sostanza. Nulla da dire sulle capacità dei nostri, che sono ben note : Ozzy (che come singer, attenzione non come voce ma come singer, tutto lo reputo tranne che fenomeno) canta come può (anche se a mio avviso con decisamente meno carica del solito), e dopo una vita passata anche a disfarsi è anche normale, gli altri sono precisi e fondamentalmente senza difetti evidenti, ma questo spesso non basta. Troppi, infatti, gli alti e bassi del prodotto per farlo ambire a una posizione di gran rilievo nel panorama (elevatissimo) dell’ex Sabbath. Non mancano certo i colpi di genio, e si vede subito dalla prima song, ma nemmeno le valli (numerose).
Torniamo al primo colpo di genio, che si identifica come “Perry Mason”. Aperta da una bellissima intro di Wakeman, la song si sviluppa in un lavoro psicotico e celebrale per quanto semplice, comandato dall’abrasività del duo Wylde/Butler (che stordisce in sede di assolo). Buona la fusione di tutti gli strumenti per un risultato che merita l’inclusione nei classici del madman (corredato fra l’altro di un video che dimostra secondo me tutto il mix di genio e follia credo non lucida di Osbourne). Piuttosto gradevole anche l’attacco alla lenta “I Just want You”, che pur non ai livelli del precedente pezzo, si mantiene dignitosa, col duo sugli scudi che vede sempre Wylde (grande riff sullo sfondo) e un keyboardist che sparge la sua maestria sullo sfondo. Non mi piace il cantato, sicuramente più impostato del solito, ma su tonalità e timbriche quantomeno sospette, e parte del solo, certamente ben eseguito ma anche un po’ insipido alle mie stolte. Netto passo indietro con la maliante “Ghost behind my eyes”, lento a tratti melenso e a tratti pomposo. Non che la cosa discosti particolarmente dai miei gusti, però mi giunge strano sentire pezzi così cantati da Ozzy. Ballad che fra l’altro non è che sia poi così particolare, sound leggero e cadenzato, ritornello esaltato ma sostanza che si riassume in poco, poco pure un po’ troppo patinato e soporifero. Buoni però diversi tratti melodici. Intro marchiata a fuoco dalla solita chitarra sporca e bassissima di Zakk in “Thunder Underground”, che non avrei visto male in un qualunque album dei suoi futuri Black Label Society. Ozzy tenta lo scream e ci riesce in parte, peccato che pochissimo ci azzecchi con le parti strumentali (così come era invece splendido coi Sabbath), alla lunga peraltro decisamente ripetitive e asfissianti (e quasi irritanti va), per quanto massiccie. Molto più melodica è “See You on the Other Side”, che rialza in parte un prodotto che stava colando a picco dopo l’ottimo inizio. Niente per cui saltare sulla sedia, per inciso, ma comunque buon diversivo, molto pacato e che allo stesso tempo coinvolge e si fa ben ascoltare (l’unico difetto per me è l’eccessiva lunghezza, un minuto in meno sarebbe stato perfetto). Bello il distacco fra la quieta corrente delle strofe e la mareggiata del refrain. Piuttosto easy listening, come gran parte di quelli sentiti sinora, l’attacco a “Tomorrow”, ennesimo midtempo che dopo un tratto morbido si fortifica improvvisamente nel sound. Non sarebbe male se fosse un diversivo, ma credo inizino ad essere troppi i componimenti con questo orientamento su Ozzmosis, fra l’altro Tomorrow non è certo dei migliori qui presenti. Altro giro, stesso discorso anche per “Denial” che vedo come uno dei peggiori lavori presenti sentiti finora sull’album. Scialba, priva di mordente, soporifera : questa la descrizione che più avvicina la song ai miei pensieri, quindi passo oltre. Qualcosa di meglio lo si trova in “My Little Man”, ma anche qui… meglio soprassedere, limitandomi a elogiare alcuni buoni fraseggi e passaggi melodici. Dopo una sequela incredibile di brani lenti e pacati si ha un ritorno alla rabbia con la sporca “My Jeckill Doesn’t Hide”, segnata, come quasi tutti i migliori pezzi, dall’affiatamento fra Wylde e Butler. Niente di particolarmente esaltante certo, ma sicuramente qualcosa di meglio rispetto a quanto sentito di recente. Ed ecco la conclusione che non ti aspetti . Come closer, infatti, madman la punta sulla pulizia e si affida a un assolo di uno Zakk irriconoscibile e a uno splendido Wakeman per l’esecuzione di “Old LA Tonight”. Sicuramente la song è facile e altrettanto sicuramente un fan di Ozzy non se la aspetterebbe, però è innegabile che la track è decisamente ispirata, la ascolto davvero con gran piacere.
Col miglior lento del disco, buon colpo di coda, si chiude Ozzmosis, un ottovolante che lascia davvero interdetti e i fan del vocalist e anche tutti gli altri. Mi sento di affibiargli la quasi sufficienza perché comunque, almeno 3 brani (i primi due e la closer) li reputo di alto livello, aiutati da un paio di pezzi discreti. Peccato che comunque non bastino a colmare del tutto altre tracce che reputo alla stregua di veri e propri filler, che penalizzano pesantemente il risultato complessivo. Il canto del cigno per Ozzy, in soldoni (neppure troppo canto a dire il vero, forse quello era lo splendido, e già citato, No More Tears).
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Perry Mason
2) I Just Want You
3) Ghost Behind my eyes
4) Thunder Underground
5) See you on the other Side
6) Tomorrow
7) Denial
8) My little man
9) My Jeckill doesn’t Hide
10) Old LA Tonight