Recensione: Paid In Full
Quarto lavoro in studio per i canadesi Skull Fist, formazione attiva dal 2006 ed appartenente alla schiera della cosiddetta NWOTHM (new wave of traditional heavy metal), ovvero la corrente musicale di band relativamente recenti – formatesi dopo il 2000 – che ripropongono le sonorità in voga negli anni 70/80.
Gli Skull Fist in particolare si ispirano fortemente alla NWOBHM tradizionale, dalla quale attingono soluzioni musicali e immagine per riproporle ai giorni nostri. Capitanati dal vocalist e chitarrista Zach Slaughter, dopo la pubblicazione di tre album ed una serie di vicissitudini e grane contrattuali con la loro ex etichetta, approdano ora alla Atomic Fire Records (che nome rassicurante, di questi tempi!) con la quale danno alle stampe il nuovo Paid In Full.
Il disco, come si presagisce già dalla copertina, è incentrato su di un heavy metal vecchia scuola con cui il trio canadese ci fa compiere un tuffo in un passato che è rimasto ancora ben impresso nelle menti e nelle orecchie di una nutrita schiera di fans.
Si inizia con la title track scandita da un riff alla Black Sabbath ed una ritmica cadenzata sulla quale la voce squillante di Zach Slaughter ricama melodie accattivanti ed armonie ben elaborate. Si pigia di più sull’acceleratore con la successiva “Long Live The Fist“, la quale esordisce con una chitarra dal sapore Saxon del periodo Denim And Leather per un brano veloce e ritmato. “Crush, Kill, Destroy” invece, propone trame hard rock che aumentano di velocità nella sfuriata finale. Il suono di questo disco è volutamente retrò, tanto che se capitasse di ascoltarlo senza avere informazioni in merito alla band verrebbe da dire che si tratta di un lavoro uscito almeno una quarantina di anni fa. Il tutto però non risulta mai obsoleto e fuori luogo grazie ad un buon songwriting che rende “Paid In Full” comunque fresco ed attuale.
Ancora ritmiche arrembanti sia su “Heavier Than Metal” che in “Blackout“, dove si inizia con una chitarra acustica dal sapore flamenco che dopo pochi secondi viene spazzata via da una ritmica propulsiva della sei corde. Strumento che recita sempre la parte del protagonista, tanto è impegnato a macinare riff ed assoli.
Proprio gli assoli di questo cd meritano una menzione particolare: gli stessi infatti vengono eseguiti dando molto risalto alla melodia ed alla ricerca di soluzioni armoniche appropriate senza scadere nella mera prova di abilità tecnica che alla lunga rischierebbe di far annoiare. In tal modo risultano sempre piacevoli e ben fruibili anche ai non particolarmente appassionati di virtuosismi strumentali.
Un episodio considerevole di questo lavoro è poi “Madman“: un mid tempo dalle sfumature epiche che figura tra gli episodi più interessanti degli otto presenti in “Paid In Full”.
Notevole poi la prova offerta dai musicisti della band, con la voce e la chitarra di Zach Slaughter sempre in evidenza, supportate dalla sezione ritmica che vede JJ Tartaglia alla batteria e Casey Guest al basso. Forse le linee di basso sono quelle più penalizzate di questo platter, in quanto per tutto lo svolgimento del disco tendono ad essere eclissate dagli altri strumenti.
Su “For The Last Time” si respirano ancora atmosfere della NWOBHM con una galoppata riconducibile sia ai Saxon quanto agli svedesi Heavy Load, grazie anche alla voce di Slaughter che in più occasioni è accostabile a quella di Styrbjorn Wahlguist. A voler proprio cercare una qualche pecca, forse in quest’ultimo brano il cantante tende un po’ ad eccedere con gli acuti: magari a lavorare di più sulle melodiche vocali si potevano ottenere risultati più interessanti.
In conclusione “Warrior Of The North” che, probabilmente per il titolo, ha proprio la carica dirompente di una scorreria vichinga con la quale gli Skull Fist si congedano dall’ascoltatore.
Un lavoro veramente ben riuscito ad opera di una band preparata che si candida ad essere una delle realtà più promettenti del panorama internazionale. Molto interessante il ripescaggio di sonorità che si rifanno volutamente agli anni 80, risultando però contemporanee ed attuali anche nel 2022.
Un attaccamento alla tradizione che, è bene ribadire, per quanto sia ben accetta la ricerca di nuove sonorità, nel nostro genere musicale preferito è sempre stato ben radicato tanto da non poter nemmeno venir considerato un difetto. In certi casi addirittura quest’attitudine viene vista come una caratteristica portante di certi particolari generi: il preferire l’una o l’altra corrente di pensiero resta quindi una scelta personale di ognuno.
Anche perché a noi gli Skull Fist piacciono parecchio, proprio perché possono essere fruibili da una vasta schiera di fans. Vecchi, giovani e in generale chiunque a cui faccia sempre piacere ascoltarsi un buon disco di Diamond Head, Angelwitch o Tygers Of Pan Tang.