Recensione: Paint my Fear
Quando nel 1997 i Children of Bodom cominciarono a muovere i primi passi nell’industria discografica, in pochi avrebbero scommesso sul successo planetario del combo di Espoo. Il loro modo fresco ed originale di intendere il metal estremo si rivelò ben presto vincente; tale approccio al death verrà preso come spunto da numerosissime altre formazioni che, nel corso degli anni, invaderanno il mercato, inflazionandolo sempre più.
Bisogna ammettere che se quel mix di power metal e death poteva risultare quanto di più nuovo quattordici anni fa, oggi è quanto mai abusato e, nella maggior parte dei casi, stanca.
Dello sconfinato oceano di gruppi power/death, fanno parte anche gli spagnoli HateskoR, nati nel 2010 a Madrid per volontà del mastermind Alex Skorza, giovane chitarrista dotato di un’ottima tecnica esecutiva, intenzionato più che mai a farci rivivere gli anni d’oro del genere. Reclutati i propri compagni d’avventura, il giovane madrileno comincia a canalizzare tutte le proprie energie sulla composizione del primo album, denominato “Paint My Fear”, che vede la luce ad Ottobre 2011.
Prodotta dalla Noise Head, la prima opera degli spagnoli è un album difficilmente valutabile, poiché, pur peccando pesantemente in originalità, ha dalla sua non poche qualità. Innanzi tutto bisogna spendere qualche parola riguardo l’ottima preparazione tecnica del quintetto, che sfodera una prestazione maiuscola. Il riffing ad opera di Alex è intricato ed eseguito con grande perizia; sia nei passaggi più rapidi e tirati, sia in quelli rallentati e riflessivi, il ragazzo da prova di grande abilità. Stesso dicasi per i numerosi assoli sparsi un po’ per tutta la durata del disco, che non difettano in gusto e varietà.
Allo stesso modo, Charly (basso) e Raulicio (batteria) si dimostrano in grado di scandire tempi in continuo cambiamento con precisione e pulizia. I due musicisti sembrano divertirsi non poco nel disegnare ritmiche che diano grande movimento alle nove tracce contenute in “Paint My Fear”, conferendo in tal modo dinamicità alle composizioni.
Alle tastiere di Filthó è affidato il compito di donare all’opera quel retrogusto neoclassico, vero e proprio marchio dell’intero genere. Il tastierista è perfettamente a suo agio nel disegnare melodie dal sapore classico e, senza mai eccedere, riesce a convincere.
A McLeod, cantante già in forza agli Egraine, l’onere di portare avanti il carrozzone con la sua voce. Il giovane, pur se tecnicamente ineccepibile, scade -come sempre più spesso accade- nella mediocrità interpretativa, sfoderando una prova poco ricca di carattere. Lo scream difetta per di più in aggressività, risultando abbastanza innocuo.
Le canzoni qui contenute, è inutile stare qui a negarlo, riescono comunque a catturare l’attenzione dell’ascoltatore fin dalle prime note. Le melodie di facile presa, unitamente a un minutaggio sempre piuttosto contenuto sono le armi sulle quali i nostri fanno affidamento.
Basterebbe dare ascolto ad episodi quali l’introduttiva “Far Beyond the Stars”, compatta ed aggressiva, grazie alla quale vi ritroverete a battere il piede a tempo di musica dopo pochi secondi. Stesso dicasi per la successiva “Mirror’s Eye”, o ancora per “My Inferno” e “Pool of Decadence”. Quest’ultima, con i suoi 6 minuti e 39 secondi, guadagna la palma di brano più lungo del lotto e, sfruttando la sua lunghezza, riesce a racchiudere al suo interno tutte le caratteristiche fondamentali della musica degli HateskoR. Non manca proprio nulla, a partire dalle lunghe sessioni strumentali, nelle quali i Nostri danno sfogo a tutto il loro “estro creativo” -le virgolette sono d’obbligo-, per arrivare alle parti tirate in cui tutta l’ “aggressività” e la -poca invero- cattiveria emergono.
I restanti episodi si muovono bene o male sulle stesse coordinate, non aggiungendo in fin dei conti nulla al giudizio complessivo. Tra tracce di maniera e altre decisamente sottotono, non si segnalano canzoni di rilievo.
Ciò che ha un influsso realmente negativo sull’esito finale, come si diceva in precedenza, è la pressoché totale mancanza di spunti personali e guizzi geniali. Ciò significa che, pur se gradevoli, le song non evidenziano una ricerca di soluzioni che denotino la volontà di approcciarsi al genere in maniera unica, propria, singolare.
L’ombra dei Children of Bodom e dei Wintersun aleggia sugli arrangiamenti in maniera fin troppo costante ed ingombrante.
Mixato da Jarkko Mattheiszen nei Tainted Studio di Lappeenranta, Finlandia, il cd gode del mastering del celebre James F. Murphy, noto per le sue collaborazioni con artisti noti tra i quali gli immortali Death del compianto Chuck Schuldiner.
I suoni raggiungono livelli di eccellenza, in modo da mettere in bella mostra la prestazione tecnica offertaci dalla band.
Siamo giunti alle conclusioni. “Paint My Fear” è un’opera indubbiamente accattivante per i neofiti, che però scopiazza in maniera fin troppo evidente dei lavori usciti ormai più di dieci anni or sono. Servono idee nuove e fresche per poter andare avanti a testa alta e per non essere considerati l’ennesima band clone. Nonostante la sufficienza, quindi, ci aspettiamo che gli Hateskor, già dalla prossima uscita, ci propongano qualche cosa di meno derivativo, altrimenti siamo certi che non ne sentiremo parlare a lungo.
Emanuele Calderone
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Tracklist:
01- Far Beyond the Stars
02- Mirror’s Eye
03- My Inferno
04- Ten Days, Ten Nights
05- My Golden Void
06- Pool of Decadence
07- The Curse
08- Tears of Fire
09- Where They Belong