Recensione: Paint The Sky
Il tastierista Vivien Lalu è attivo ormai da un ventennio sulla scena progressive e dalla bella Parigi ha regalato poche ma buone uscite, non ultimo Atomic Ark del 2013 (ma anche il progetto Shadrane, il cui ultimo singolo risale al 2020). Questa volta con Paint the sky (che esce per Frontiers) il compositore francese si è superato, creando un’opera di sicuro impatto, longeva e con il solito cast di ospiti stellari, su tutti Damian Wilson (ex-Threshold, Ayreon, Star One, Headspace), autore di una prova come sempre smagliante, merito del mastermind d’oltralpe che ha pensato per lui linee vocali pulite e potenti. Tra gli strumentisti ritroviamo Joop Wolters al basso e alla chitarra, compagno di viaggio di Lalu già in Atomic Ark, mentre alla batteria Jelly Cardarelli.
Il disco inizia con i sei minuti di “Reset to Preset”, brano potente e fatato, con ritmiche intricate al punto giusto, tanta melodia e un ritornello subito ficcante. Lalu conferma il proprio trademark, proponendo un prog metal canonico senza concessioni a derive djent. La seconda traccia in scaletta ha un titolo che è un programma: “Won’t Rest Until the Heat of The Earth Burns the Soles of Our Feet Down to the Bone”. Al netto di tanta bizzarria, il pezzo convince, Damian Wilson riesce a interpretare note intrise d’intimismo, la presenza di Jens Johansson (Stratovarius) dona un tocco di ricercatezza e si arriva sul finale divertiti e soddisfatti da quanto ascoltato. È un sound fresco quello che viene proposto e si prosegue nella tracklist con piacere.
Prima della title-track, “Emotionalised” è una strana ballad, dall’andamento cullante e ammiccante, ma con “Paint the sky” si torna su livelli sostenuti, complici le linee di basso imbizzarrite di Tony Franklin e la chitarra di Gary Wehrkamp (Shadow Gallery). Compare anche la voce inconfondibile di Steve Walsh e tutto acquista un tono suggestivo. Interessanti gl’inserti di chitarra acustica e i soliti rimandi a Steve Vai (cosa a cui Lalu ci ha abituato in passato), ma volendo si respira anche aria di casa Ayreon e di certo prog rock che fu (non dimentichiamo che Lalu è figlio d’arte). Le dinamiche sono un valore aggiunto, si passa da crescendo potenti a dei pianissimi, specie nel finale.
Il trittico che segue alterna emozioni contrastanti. “Witness to the World” è una ballad dall’incedere malinconico, con Marco Sfogli (PFM) alla chitarra: un brano raffinato e con la giusta dose di pathos. Con “Lost in Conversation” torna invece il sereno, parliamo infatti di un brano solare e divertito con un nuovo cameo di Johansson e un refrain catchy. “Standing at the Gates of Hell”, infine, inizia in modo tirato e sulfureo salvo poi mutare pelle e regalare una sezione jazzy tutta da godere, con parti di hammond e non poca ispirazione e virtuosismo (vengono in mente i Maschine, volendo fare un paragone).
“The Chosen One” vede all’avvio Jelly Cardarelli scatenato dietro la batteria. A funzionare è tutto il comparto strumentale e anche la voce di Damian Wilson dà il meglio di sé nel ritornello innico. Parliamo di uno dei brani migliori del full-length, che ha il pregio di venire memorizzato al primo ascolto. Buona la prova di Simone Mularoni (DGM), mentre l’assolo di Jordan Rudess è il solito sfoggio di tecnica. Dopo l’intermezzo acustico “Sweet Asylum”, arriviamo all’epilogo dell’album. “We Are Strong” ricorda i fasti dei Threshold anni Novanta, ma è il sound proposto in generale a riportarci a quella decade dorata per il prog metal, un toccasana per gli ascoltatori più nostalgici. Emozione pura, così come la coda elegiaca “All of the lights”. Come bonus track compare la title-track questa volta in versione strumentale con Simon Phillips alle pelli e Alex Argento alla tastiera. Il risultato sono otto minuti di puro sollazzo prog ben suonato e ispirato, un manifesto per il futuro di questo grande genere musicale.
Paint the sky è un signor disco, una sorpresa a tutti gli effetti. Onore a Lalu ma anche ai suoi ospiti: promosso Jens Johansson, ma anche Simon Phillips e i nostri Simone Mularoni e Marco Sfogli; bene Gary Werkhamp, Steve Walsh, Alex Argento e Tony Franklin. “Reset to preset”, “The chosen one” e la title-track (in entrambe le versioni) valgono l’acquisto del platter e sono pezzi di fattura superiore alla media. Paint the Sky in definitiva è uno dei migliori album prog di questo scorcio di 2022 insieme ai Wilderun, l’ideale per iniziare alla grande l’anno nuovo.