Recensione: Pale Blue Dot
I Pale Blue Dot nascono da un’idea del chitarrista friulano Nicola Avon, affiancato successivamente dal cantante-bassista Alessio Velliscig (già nei Pathosray, attualmente voce dei Quintorigo) e il batterista Marco Buttignol. La band pubblica questo EP omonimo composto da 4 canzoni, con l’obiettivo di registrare il primo full-lenght nel 2025, proponendo musica vicina a un progressive metal con attitudine heavy. L’artwork spaziale con i “pilatri della creazione” è un ottimo biglietto da visita. Si è invogliati all’ascolto, non c’è dubbio.
Iniziamo la disamina dall’opener. “Ziqqurat” ha un tiro quadrato e potente, non dà respiro dal suo avvio alla sua conclusione, indice di chiarezza d’intenti e coerenza stilistica. Le ritmiche sono ruvido quanto basta, mentre le strofe interpretate dalla voce dotata del giusto carisma di Alessio Velliscig rivelano una certa ricercatezza che riesce a proiettarci in un mondo di schiavi ribelli: «I feel the breath of a violent, a violent wisdom!» Non manca un breve assolo di chitarra e una concessione a percussioni ad hoc.
Convince anche l’attacco groovy di “Entomology”, abrasivo e coinvolgente. Spiccano le linee di basso e l’alchimia della line-up è il valore aggiunto. Velliscig, va detto, sembra la controparte di Jeff Scotto Soto, il suo timbro pulito caratterizza la proposta sonora nel bene e nel male. Le liriche ruotano attorno al concetto di conformismo con l’essere umano ridotto a lavoratore alienato in un formicaio impazzito. Pregevoli le rime, su tutte quella contenuta nella prima strofa: «The hive is love” / Says propaganda / Asking your blood in / This fake Samarcanda». Compare anche un rimando finale alla ribellione, con la figura di Prometeo e del suo fuoco catartico.
Interessante l’uso delle dinamiche in “Yogin”, pezzo introdotto dalla batteria e che snocciola un testo filosofico e spiazzante, che accosta alto e basso, procedendo in modo controllato nelle strofe, salvo esplodere in un refrain dai toni tiratissimi. Alcuni versi spiccano sugli altri: «A clash of visions or a crash of reason? […] Metaphors for the ages is what we’re left with […] Your violent words sound lame and vane».
L’EP si chiude con i sei minuti di “Cosmic SOS”, brano che osa di più a livello sonoro e cita esplicitamente il moniker della band, tributo al grande Carl Sagan. Si sentono echi ai Dream Theater e la voglia di divertirsi suonando metallo d’antan. I testi scavano nelle contraddizioni del nostro tempo e ne emerge un ritratto spietato e lucidissimo (già ampiamente indagato dagli Ayreon, alfieri dello space metal): «Our dimension reflects all the needs of a free will illusion / Extremely entertained or deprived of all pain.»
I Pale Blue Dot promettono bene, il loro heavy metal con venature prog. (che richiama i Fates Warning, certi Evergrey e alla lontana anche i compianti Sons of Apollo) non lascia indifferenti. Le ritmiche sono potenti, certe concessioni alla dissonanza rendono il sound più accattivante e ricercato.
C’è ancora da lavorare sulla produzione e il bilanciamento dei suoni, ma le idee non mancano, inclusa l’attenzione ai testi, che spiccano per originalità. Attendiamo, dunque, il full-lenght nel 2025. Ad maiora!