Recensione: Pandemonium
Cari, vecchi Pretty Maids…
Ascoltare un nuovo album della storica band danese, è un po’ come ritrovare un gruppo di amici di lungo corso. Sempre affidabili, sempre coerenti con se stessi, mai controversi e pronti in ogni occasione a strappare almeno un sorriso.
Arrivati sin qui attraverso una carriera giunta alle soglie dei trent’anni, Ronnie Atkins e Ken Hammer, i due principali artefici e fondatori del combo scandinavo, continuano imperterriti ed orgogliosi nel proporre la propria particolare ed inconfondibile versione di hard rock venato di robusto heavy.
Un connubio inscindibile tra armonie orecchiabili ed accattivanti, frammisto a ponderose iniezioni di schitarrate selvagge, in un equilibrio tra pesantezza e melodia divenuto un marchio di fabbrica ed un carattere di riconoscimento distintivo e rodato, responsabile principe dei buoni successi e dell’onorevolissima fama maturata dal quintetto nel corso dei molti anni di militanza.
Equilibrio. Questa la parola chiave alla base delle fortune dei nordici. Un elemento che, come messo in evidenza dallo stesso mr. Atkins in occasione della recente intervista, non può, e non deve mai mancare nelle soluzioni elaborate dal songwriting dei Pretty Maids.
Anche in occasione del nuovo “Pandemonium” dunque, il proposito è messo in pratica con la consueta e caratteristica eleganza. Ancora una volta, brani potenti e dall’impatto talora squadrato, appesantiti da un rifferama dal taglio heavy che macina sgommate di solido hard rock dai riflessi ottantiani che si ingentiliscono, di quando in quando, grazie a ritornelli dalla musicalità scintillante, perfetti per una voce velenosa come quella di Atkins e per un approccio hard n’heavy immutato ed inconfondibile.
Chi è fan dei Maids da tempo, all’ascolto di “Pandemonium”, non potrà non essere colto da un sottile senso di deja-vu. Benevola e non certo sconveniente, la sensazione si materializza nel volgere di breve, confortando l’idea di un omaggio, voluto o fortuito, a quella che è stata l’epoca d’oro del combo di Horsens.
Gli anni ottanta – inizio novanta, marchiati dalle uscite di piccoli capolavori quali “Future World” e “Jump The Gun”, hanno, in effetti, una preponderanza vitale nell’economia compositiva del nuovo nato. Sin dalle battute d’apertura, segnate dall’incedere della teatrale title track, il riferimento ad uno stile drammatico – dalla profonda radice heavy melodica – è netto ed evidentissimo. Il richiamo spiccato, si fa tuttavia ancor più manifesto con i successivi ed orecchiabili brani, “I.N.V.U.”, “Final Day Of Innocence“, “Breathless”, e soprattutto, “One World, One Truth” e “Little Drops of Heaven”, certo non strappati in maniera pedissequa a stilemi di vent’anni fa, eppure molto simili per concezione e per l’attenta elaborazione del proverbiale “equilibrio” posto in rilievo in apertura.
Un paio di filler situati nelle zone mediane del disco – “Cielo Drive” e “Beautiful Madness”, che pur senza dispiacere, aggiungono poco di significativo – non incidono più di tanto, ne modificano l’impressione senza dubbio positiva proposta e confermata in numerosi passaggi e ritornelli.
Gigantesca e rombante la produzione, elemento di modernità che distacca con nettezza dal comunque eccellente passato, qualcosa di più contemporaneo è percepibile nelle ritmiche “meccaniche” della potente “It Comes At Night”, mentre il ruolo di classico ed irrinunciabile momento riflessivo e riservato all’edulcorata “Old Enough To Know”, tipico pezzo “semi-slow” DOC di casa Pretty Maids, che si accompagna alle note delle adorabili “Walk Away”, “Love Until It Hurts” e “Clay”, tra gli episodi più felici dell’opera puramente melodica del gruppo.
Buono il cantato di Atkins, forse non più brillante come agli esordi, ma sempre di ottima espressività ed inappuntabile il nucleo di musicisti, condotti con sapienza dall’esperto e navigato Ken Hammer.
Interessante in ugual misura, anche il lato concettuale rivelato da alcune tracce. Una visione spesso disincantata e poco ottimista del nostro bistrattato pianeta, alle soglie del baratro e bisognoso di urgenti cure, e delle nostre insensibili e spietate società odierne. Sentimenti ed emozioni non mancano, tuttavia è rimarchevole osservare come, anche in questo particolare aspetto, la parola equilibrio torni a farsi notare, simbolo di canzoni equamente suddivise tra argomenti impegnati e toni leggeri.
Passi avanti insomma, rispetto al discreto “Wake Up In The Real World” edito nel corso del 2006, per un discorso che, pur senza scomodare i già citati capolavori del passato, riannoda le fila qualitative con l’ottimo e prolifico periodo di metà-fine anni novanta.
Cari vecchi Pretty Maids. Sempre un piacere risentirvi!
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Tracklist:
01. Pandemonium
02. I.N.V.U.
03. Little Drops Of Heaven
04. One World, One Truth
05. Final Day Of Innocence
06. Cielo Drive
07. It Comes At Night
08. Old Enough To Know
09. Beautiful Madness
10. Breathless
11. It Comes At Night (Alternative Version)
Line Up:
Ronnie Atkins – Voce
Ken Hammer – Chitarre
Kenn Jackson – Basso
Allan Tschicaja – Batteria
Morten Sandager – Tastiere