Recensione: Paradigm
Siamo sempre lì…
In quell’inesplicabile universo parallelo costruito certosinamente, disco dopo disco, dagli svedesi Eclipse.
Un universo, strano, irreale, unico, in cui l’eccellenza è la normalità, l’ispirazione un elemento banale, l’alto valore artistico un aspetto pressoché scontato.
Che Henrikssen e Mårtensson scrivano da un po’ grande musica e, di conseguenza, grandi dischi, non fa più notizia: un assurdo e surreale dato di fatto che rende l’eccellenza un qualcosa di comune, ordinario, senza sorprese.
Che noia questi Eclipse, sempre così perfetti, impeccabili, precisi, focalizzati ed ispirati, verrebbe da dire.
Non fosse che poi, si fa partire il nuovo disco e ci vuole davvero poco per lasciarsi conquistare dall’ennesimo ed inesorabile carico di belle canzoni. Il consueto mucchio di melodie che si affastellano lungo le memorie dei suoni degli anni ottanta attualizzate dalla freschezza dell’hard nordeuropeo dell’ultimo decennio. Un ibrido di soluzioni orecchiabili e chitarre appuntite, piegate al volere di una band tra le più abili dell’intero universo nel maneggiare con perizia una materia priva di punti deboli o momenti “minori”.
Viene da chiedersi come sia possibile riuscire a rimanere con tanta pervicace costanza su livelli sempre superiori senza mai avere un cedimento. Ma dopo tutto, perché complicarsi la vita con domande che non servono a molto.
Quello che conta è potersi porre nuovamente all’ascolto di un album che è una sorpresa proprio perché nemmeno questa volta sorprende (eh sì, siamo al paradosso) e mantiene intatto quell’alone di infallibilità divenuta imperativa quando si fa sotto un nuovo capitolo di alta scuola scritto dagli Eclipse.
La formula, giova ricordarlo per gli eventuali neofiti, mette assieme la bontà di eccellenze assortite della storia del rock melodico, con richiami costanti a Whitesnake, Talisman e Giant (ai quali, per questa nuova opera, ci sentiamo di aggiungere pure i D-A-D), uniti in un trademark che nel frattempo, nell’arco di un quartetto di album (diciamo pure a partire dal folgorante “Bleed & Scream”) è diventato sempre più raffinato sino ad affermarsi come unico e personale. La voce di Mårtensson come distintivo di un suono ai confini della perfezione. Lo stile vigoroso ed ugualmente accattivante di melodie ricche di passione e vitalità, struttura di pezzi immediatamente apprezzabili quali “Mary Leigh“, “Blood Wants Blood” e “Delirious”.
Tre brani che abbiamo citato in pratica a caso dalla scaletta di “Paradigm”: avremmo potuto sceglierne altrettanti degli undici proposti e la sostanza non sarebbe mutata. Sempre di musica di qualità de-luxe si sarebbe trattato, di melodie composte sfruttando con il “pilota automatico” una ricetta che sembra infallibile forse perché cela alla base una grande passione per il proprio lavoro e per le emozioni che questo è in grado di veicolare.
Non solo quindi, un’arida e pedissequa ripetizione di uno schema consolidato, ma una ripetuta ricerca dell’armonia capace di colpire e suggestionare, affascinando ogni volta come fosse la prima.
Che grande scoperta gli Eclipse.
Una scoperta coinvolgente che anno dopo anno, disco dopo disco, uscita dopo uscita, porta sempre alla medesima, inesorabile – quasi annoiante – conclusione.
Non ci sono punti deboli e tutto odora di perfezione.
Ancora. Di nuovo. Un’altra volta un grande disco di magnifico hard rock.
Con la solita considerazione conclusiva: dov’è la novità nell’avere gli Eclipse tra le uscite migliori dell’anno?