Recensione: Paradox
Una delle inside maggiori per un redattore di webzine è occupasi di una band molto amata, alla quale magari si è affezionati sin dalla più tenera età formativa (metallicamente parlando) e verso la quale si nutre un affetto speciale (il che in genere comporta sempre un ricco corredo di bonus, alibi, scusanti, giustificazioni e quant’altro serva ad edulcorare critiche troppo severe). I Nocturnus per il sottoscritto sono una di quelle band, dunque una di quelle insidie; sul mio personale podio di migliori death metal act di sempre certamente loro ci sono e, più in generale, nonostante sostanzialmente due soli album in carriera (poiché quanto accaduto e pubblicato dopo il 1992 è classificabile come “apocrifo” rispetto a quel monicker), riconosco ai ragazzi floridiani lo status di innovatori, innovatori veri, ovvero tra quei pochi gruppi che hanno apportato variazioni sensazionali ed imprescindibili al canone del genere di appartenenza, istituendo uno spartiacque tra “prima” e “dopo”. Se parliamo dei death, personalmente mi pare che quella genìa si sia fermata ai Nile, a mio avviso l’ultimo gruppo ad aver portato qualcosa di realmente nuovo e diverso in un filone sempre più avvitato su velocità parossistiche e ultratecnica fotonica, forse proprio per nascondere la mancanza di idee basiche, atmosfere pregnanti ed una visione complessiva di un progetto musicale fatto di sfumature molteplici e non solo di esibizioni onanistiche di muscolatura.
Torniamo ai Nocturnus, quelli odierni – che aggiungono AD al nome – sono a guida Mike Browning, il quale ha proseguito la sua personale rilettura del progetto madre dapprima sotto forma di After Death, fino alla completa metamorfosi in Nocturnus AD, con tanto di riallaccio formale e sostanziale al debut album del 1990, il seminale (è proprio il caso di dirlo), nonché monumentale, “The Key“. “Paradox” è il nuovo lavoro di questa creatura ed arriva a 29 anni di distanza. Cominciamo subito col dire che rispetto ai circa 48 minuti di “The Key” c’è stata una netta inversione di tendenza; tanto quello era un album che intendeva rivoluzionare, lanciarsi all’avanguardia, sparigliare in modo inaspettato il panorama a sé coevo, tanto questo ha come obiettivo prefissato quello di discostarsi il meno possibile dallo stampo di “The Key“. Browning – detentore legittimo di quello stampo, visto che la band l’aveva ideata e fondata lui – è stato molto abile nell’attenersi filologicamente alla lectio impartita con “The Key” in un torrido agosto floridiano del 1990. L’artwork di copertina è quasi indistinguibile, quello stesso concept lirico viene ripreso e ulteriormente sviluppato, medesima disposizione delle song in scaletta, produzione pressoché identica, stessa impostazione del songwriting. Verrebbe quasi da dire stesso disco, se non fosse che uno è l’originale e l’altro è il derivato, di lusso quanto si vuole, ma sempre derivato.
Nella preziosa intervista rilasciata a True Metal Browning racconta di come “The Key” sia parzialmente una storia, declinata in quattro delle dieci tracce complessive della scaletta (“Andromeda Strain“, “Droid Sector“, “Destroing The Manger“, “Empire Of The Sands“). In “Paradox” quella narrazione prosegue specularmente nella quadripartizione costituita da “The Antechamber“, “The Return Of The Lost Key“, “Apotheosis” e “Aeon Of The Ancient Ones“. Più in piccolo accade una cosa simile nella mini storia infernale raccontata in “Lake Of Fire” e “Standing In Blood“, canzoni imparentate da un punto di vista lirico e che “Paradox” intende proseguire con “Seizing The Throne” (posta in apertura esattamente come quelle due). Su “The Key” c’era “Neolithic“, qui abbiamo “Paleolithic“. Sempre Browning fa presente come il songwriting dei Nocturnus seguisse due binari, uno più scientifico, un altro rivolto ad eventi storici, bipartizione mantenuta anche oggi. “Precession Of the Equinoxes” disegna l’inversione dei poli magnetici del pianeta, mentre “The Bandar Sign” si occupa di criptostoria fantastica, quella del Necronomicon e delle sue simbologie occulte e sacrileghe. Browning racconta di aver sempre avuto una certa predilezione per tematiche che spingessero sul versante aggressivo ed oscuro, ma che questa propensione non riuscì a trovare uno sfogo adeguato con gli ex band mates, più attenti a contenere sia il sound che le tematiche da trattare con i Nocturnus, al punto che “Thresholds” fu un mezzo passo nella direzione delle richieste dell’etichetta discografica di allargare la fan-base attraverso una maggiore fruibilità della proposta della band. Si spiegherebbe così l’introduzione di un frontman esclusivamente dedicato a quel ruolo e una più vistosa ibridazione del sound con elementi progressive.
Browning perse la presa sulla band che lui stesso aveva incarnato, alienato dalla sua filiazione e costretto a vagare altrove (ad esempio negli Acheron, vicini di studio), fino ad oggi quando – a detta del drummer di Tampa – “The Key” ha finalmente trovato il suo più coerente e diretto successore. Per chi è totalmente a digiuno dei Nocturnus “Paradox” si rivela un album assai ricco, sfaccettato ed interessante. Il giudizio in parte cambia se si considera l’album per ciò che lo stesso Browning ha esplicitamente inteso essere, la continuazione di “The Key“. Più che un sequel si dovrebbe forse addirittura parlare di remake. “Paradox” cerca in tutto e per tutto di assomigliare al suo nume tutelare, non ne è esattamente una prosecuzione 2.0, quanto lo stesso album risuonato 30 anni dopo. La riproposizione tale e quale della produzione ad esempio se da un verso non può che far scattare nostalgia e malinconia per quei suoni scolpiti nei cuori di tanti metalkid, dall’altro non rispecchia granché lo standard qualitativo del 2019 e anzi un po’ penalizza in pulizia e potenza un songwriting dal ricco tasso tecnico e dall’intricato groviglio di partiture, che proprio in elementi quali pulizia e potenza troverebbe la sua esaltazione privilegiata. Le partiture abbiamo detto, queste – oggi come allora scaturite dai migliori incubi dei Morbid Angel e imbastardite dall’uso di keyboards in odore di fantascienza cinematografica americana da Guerra Fredda – si riverberano in un gioco di eco indissolubili che rimbalzano tra 1990 e 2019, con la nota a margine che però all’epoca erano spontanee e dirompenti, oggi perdono inevitabilmente quella “freschezza” diventando in qualche misura un esercizio di stile, raffinatissimo, ma in scia di quanto già sentito oltre un quarto di secolo fa. A tratti il sovrapporsi di chitarre (ritmiche e soliste), sezione ritmica (frazionata in drum patterns interrotti e sincopati), tastiere e voce (Browning più che cantare, declama) dà più l’impressione di una serie di brandelli accostati un po’ forzosamente tra di loro, a tavolino, come tessere di un puzzle la cui sagomatura non necessariamente coincide alla perfezione ma che viene fatta collimare ugualmente, in un modo o nell’altro. Ciò riproduce superficialmente lo stile di “The Key“, ma ad un ascolto attento e ripetuto la differenza sostanziale tra i due album emerge vistosa ed il mimetismo di “Paradox” non riesce a restituire la fluidità, la naturalezza e la genialità che apparteneva ai Nocturnus dei primi anni ’90. In questo senso “Paradox” è una buona imitazione, persino ottima, che può certamente gratificare per mezzo della “familiarità” del sound, ma che non può appagare fino in fondo. Mi ricorda quanto accaduto con i Carcass di “Surgical Steel“, grossomodo trovatisi in una situazione speculare, ovvero redivivi con un album notevolissimo tra le mani, ma al contempo anche completamente ripiegati sul loro ombelico.
Personalmente ho trovato più brillante e convincente la seconda parte del disco, quella che tesse le trame della vicenda principale interrotta con “Empire Of The Sands“. La strumentale “Number 9” arriva poi a chiudere l’album, strategicamente posta in scaletta proprio al termine, come zona franca dalla quale ripartire per un futuro prossimo album della band. “Paradox” è espressione di ottimi musicisti, preparati da un punto di vista tecnico, ancorché limitati da un orizzonte che li obbliga ad attenersi fedelmente alle pieghe di un vestito che deve seguire regole precise. Va anche riconosciuto che, per come ho presentato i Nocturnus, trattandosi di una band eccezionale, il cui contributo al metal è stato altrettanto eccezionale, le aspettative erano lunari e dunque soddisfarle al 100% era impresa erculea, se non impossibile. Browning ha forse scelto la via più facile e sicura, ma questa è una colpa fino ad un certo punto, dato che in fin dei conti è accaduto che il legittimo proprietario di un marchio ne sia (finalmente) rientrato in possesso e abbia comprensibilmente ripreso il sentiero laddove lo aveva interrotto. Il fatto è che nel frattempo il contesto è completamente cambiato, non siamo più al vulcanico passaggio di decennio tra 80’s e 90’s, lo scenaro musicale è radicalmente mutato, di vie lattee sotto i ponti ne sono scorse tante e dunque un altro “The Key” oggi sortisce inevitabilmente un effetto diverso, se non minore, quantomeno difforme e sperequato.
Marco Tripodi