Recensione: Parallel Worlds

Di Riccardo Angelini - 21 Dicembre 2005 - 0:00
Parallel Worlds
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Anno: 2005
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68

Torna sulle scene a un anno di distanza dal debutto solista il bravo Simone Fiorletta, axeman dei nostrani Moonlight Comedy, per dare nuova conferma del proprio talento non solo come esecutore ma anche in fase di composizione. E’ senza dubbio un piacere constatare che siamo qui di fronte a uno di quei casi, mai abbastanza frequenti, in cui alle indubitabili conoscenze tecniche si accompagna una creatività piacevole e personale, esplicitata in una decina di tracce scritte con gusto ed eseguiti con perizia.

Attingendo soprattutto dagli insegnamenti dei maestri del genere – non solo i soliti Vai e Satriani, ma anche i capiscuola del rock melodico di venti e trent’anni fa, Neil Schon su tutti – ma senza disdegnare qualche puntatina ora nei vasti territori del jazz e del blues, ora nelle elaborate costruzioni progressive, ora perfino nei ruvidi lidi dell’heavy metal, Simone tesse un ventaglio di brani ben caratterizzati e del feeling accattivante. Tra svariati episodi di pregio emergono l’intima Alone in the Rain – impreziosita da un pregevole accompagnamento acustico nelle prime battute e da un’interessante progressione dinamica nei passi centrali – e i sussurri elettrici della sentimentale Blue Eyes, ennesima controprova della dimestichezza del giovane axeman con melodie affabili e suadenti. Spunti di valore anche nei momenti più metallici, come nel caso dell’audace title-track o in alcuni passaggi della multiforme The First Day of Life; ma sono sempre i pezzi più delicati, predominanti anche dal punto di vista quantitativo, quelli che regalano i momenti di maggior trasporto emotivo: valga come esempio finale proprio l’ultima traccia, la romantica e quasi ipnotica Lullaby for Laura (deja vu per gli ascoltatori dell’esordio The Beginning), in cui l’esclusiva strumentale è infranta in favore dello straniante accompagnamento al microfono di Emiliano Germani, al fianco di Simone anche nei Moonlight Comedy.
Manca forse ancora quella punta di ardore che permetterebbe ai neoclassicismi di That’s My Truth o alle impennate progressive di A Strange Evolution di lasciare un segno più profondo, evitando magari qualche forzatura melodica di troppo. In via d’affinamento è d’altro canto la capacità di balzare oltre le barriere di genere per andare a realizzare un prodotto che possa essere gradito non solo agli affezionati, ma anche a quanti hanno meno dimestichezza con produzioni strumentali incentrate sulle chitarre. Per il resto, a parte forse una maggior attenzione per la produzione, non ci si può davvero lamentare di un disco ben composto e ben suonato, scorrevole in tutti i suoi quarantacinque minuti di durata e omogeneo tanto dal punto di vista dei contenuti quanto da quello della quantità.
 
Resta dunque solo da consigliare l’acquisto a quanti abbiano già apprezzato la prima creazione del Fiorletta solista, oltre che a coloro che desiderano scoprire una nuova interessante realtà della scena italiana, che in poco più di un paio d’anni ha già saputo riscuotere meritati consensi.

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