Recensione: Parallels
Dopo anni di tirocinio, i Fates Warning entrano a testa alta nei primi anni novanta con il disco sigillo del successo su scala mondiale. Una sonorità fresca ed originale nutre i pochi metri quadrati che costituiscono il giardino variopinto del buon progressive metal, con cinque elementi di tutto rispetto pronti a sfondare seguendo l’esempio dei Queensryche che qualche tempo prima pubblicano la perla Mindcrime conquistando il pubblico avido di rivelazioni. La quantità di informazioni necessarie alla deduzione della strada che questo gruppo avrebbe deciso di intraprendere negli anni a venire è essenzialmente sintetizzata nei quarantacinque minuti e nelle otto tracce che verranno dipinte su questo prezioso gioiello di silicio. Parallels non si dimostrerà da meno. Un petalo dopo l’altro traspariranno le atmosfere di Inside Out, il mistero di Pleasant Shade Of Gray, la non indifferente indole sperimentale dei cinque componenti in Disconnected. Niente tastiere, nel 1991 la band si presenta con una formazione di veri e propri pezzi grossi:
Ray Alder vocals
Jim Matheos guitars
Frank Aresti guitars
Joe Dibiase bass
Mark Zonder drums and percussion
Inizierei con un commento sulla cura della parte ritmica di basso e batteria affidata a questa grande occasione. Joe e Mark evolvono i caratteri che diventeranno tipici della band con una tecnica ed un metodo solo apparentemente semplici (doppia cassa inesistente e mancanza assoluta di tratti tiratissimi), ma che in realtà fanno del tempo una variabile scomponibile nelle più diverse porzioni, minuziosa sezione di una cellula estremamente complessa. Martellanti e controtempo i due strumenti svolgono un impeccabile lavoro di coppia, facendo l’amore sotto le calde coperte di due chitarre geniali firmate da Jim Matheos e Frank Aresti. Quando si parla di Fates Warning il discorso tecnica scende al secondo piano per lasciare spazio alle tanto magiche quanto irriproducibili ambientazioni che il gruppo riesce a generare attraversando uno stile originale e di suo esclusivo possesso, indifferente ai virtuosismi ma consapevole di far parte delle poche composizioni di alta classe comuni ad una manciata di gruppi fra tutti quelli che si occupano di progressive metal. Come non accennare alla stupenda interpretazione di una voce diventata ormai celebre per la sua invidiabile limpidezza, instancabile nelle tonalità più difficili da raggiungere come provano anche le diverse performance live, calda e aggressiva, in poche parole la voce di un cantante come Ray Alder. Attenzione! Non mi riferisco ad una estensione vocale di tredici ottave, tengo a descrivere quelle sufficienti a formare un buon cantante interessato al genere, rigorosamente preciso e pulito sempre.
Leccatevi le labbra e prestate le vostre orecchie a Life In Still Water. La linea strumentale forse più bassa e aggressiva del disco, caratterizza un brano dove le distorsioni vengono prolungate e rese più sensuali sotto una voce piena di speranza nei confronti dell’essere umano: ogni lettera stampata sul booklet sarà esclusivamente scritta in minuscolo, ad eccezione della la misera parolina YOU riportata in maiuscolo ovunque possiate trovarla, affinchè possiate riflettete su voi stessi le domande che l’autore di questi testi si pone: siete disposti a passare il resto della vostra vita immersi nella velocità di un ambiente caotico e senza respiro, troppo stanco per andare alla ricerca delle emozioni che esso stesso nasconde? Si tratta di un brano piacevole ed instancabile, impreziosito dalla partecipazione in background di un altro canadese chiamato credo James LaBrie.
Le liriche più brevi appartengono al brano più lungo e sperimentale del disco, The Eleventh Hour. Se prima dei tre minuti sembra terminare su se stesso, superata questa soglia ci troviamo di fronte ad un’inconsueta accelerazione che costringe la voce a cambiare tono nell’affrontare il proseguire del brano mentre il basso pesta le note principali offerte su un piatto d’argento dalla tenace composizione elaborata in contemporanea da chitarre e batteria. Quello che all’inizio e soprattutto ad un primo ascolto si potrebbe considerare come il pezzo più scarno della release, si dimostra al contrario il brano più completo sotto tutti i punti di vista. A proposito di punti di vista, è il momento della quinta traccia chiamata appunto Point Of View. La tematica del pezzo è facilmente intuibile, a volte è impressionante come spesso i nostri sensi possano distorcere la percezione di eventi o immagini simili che difficilmente lasciano accettare le nostre differenze, ma piuttosto innescano lo scontro tra uomini laddove orizzonti diversi tendono a respingersi. Traccia particolarmente movimentata, rappresentante delle montature ritmiche di basso e batteria sopra descritte.
Con la conclusiva The Road Goes On Forever, i Fates Warning ci lasciano solo temporaneamente con la malinconica promessa di rimettere presto piede sulla strada che dopo tanta fatica gli ha concesso il successo definitivo. Nella vita di un artista ci sono spesso momenti in cui pensi sia meglio raccogliere le tue cose e andare a casa, attimi di oblio totale in cui non ricordi più in che direzione stai muovendo, il buio che solo la passione per la musica può illuminare. Le porte si chiudono alle loro spalle e negli anni novanta s’intravede un decennio di duro lavoro. Chiudo con le parole precise.
Sometimes I lose sight of where I’m going
Fanned by a flame I can’t remember
But distant lights still burn bright
And the road goes on forever…
Il disco è dedicato alla memoria di Anna Dibiase.
Andrea’Onirica’Perdichizzi
TrackList:
1. Leave The Past Behind
2. Life In Still Water
3. Eye to Eye
4. The Eleventh Hour
5. Point Of View
6. We Only Say Goodbye
7. Don’t Follow Me
8. The Road Goes On Forever