Recensione: Parasite
Goregrind.
Fra le innumerevoli classi, sottoclassi e sotto-sottoclassi in cui, nel corso degli anni, è stato suddiviso l’originario heavy metal, c’è un genere a uso e consumo dei più efferati appassionati del grindcore impregnato di tematiche gore. Budella come se piovesse, cioè, oltre a litri di sangue, smembramenti, macellazioni, efferate torture, putrefazioni e conseguenti liquami, e così via, per una fantasia totalmente marcia che non ha confini di sorta.
In mezzo a questo tripudio di organi umani spappolati sguazzano i nostrani Guineapig, realtà piuttosto nota nell’insana macelleria, pardon, nello specifico ambiente. “Parasite” è il loro secondo full-length, e già il titolo lascia presagire a cosa ci si troverà di fonte, in relazione alle liriche.
Tutto quanto sopra potrebbe essere travisato come espressione di ironica critica ma così non è. L’essere gore è, invece, un sano esercizio di super-esagerazione, talmente spinta da rendere il tutto dotato di un irriverente sarcasmo mirato a demolire i benpensanti che inorridiscono solo a pronunciare la parola «rosso». Mai prendersi sul serio, insomma, e se a farlo sono gli altri, affari loro.
Detto questo, non si può prendere atto che l’approccio musicale è decisamente austero, giacché l’impatto prodotto dal sound scatenato dai Nostri è assai rilevante; potendo contare su quello che è, in fondo, grindcore. Eseguito, nel caso in ispecie, con una impeccabile professionalità e capacità di esecuzione.
I Guineapig picchiano duro, sodo. Fanno male, insomma. Le harsh vocals di Alessio non sono per niente scontate, dato che sembrano uscire da un ugola in decomposizione, purtuttavia ancora in grado di emettere suoni gutturali, scabri, che lasciano il segno sulla pelle. Linee vocali che si allineano, intersecano e sovrappongono con un artificiale, incredibile suono che imita abominevoli suinate liquefatte. L’effetto compressivo dà proprio l’idea di qualcosa che si stia guastando. Che stia diventando fradicio.
Pur essendo solo in tre, i Nostri riescono comunque a erogare una più che sufficiente quantità di watt. Frutto, questo, di un’evidente amalgama ben salda fra i componenti. Sound pesante ma non massiccio. A parte qualche furibonda accelerazione scatenata dai blast-beats lasciati liberi di correre da Giancarlo, il tema ritmico portante è quello del mid/up-tempo. Una cadenza che attiva irrimediabilmente il cosiddetto tic del batterista, costringendo l’ascoltatore a battere il piede per imitare le battute di un drumming pulito e preciso.
Il punto debole degli act che si cimentano in questa particolare foggia musicale sono le canzoni che, prese una per una, non mostrano particolari spunti di interesse, risultando un po’ troppo simili le une alle altre. Sorge tuttavia il dubbio che ciò sia voluto, sì da concentrarsi al massimo sulla resa dell’insieme dei brani invece che sull’identità di ogni singolo episodio. È chiaro che delle differenze ci siano, tuttavia quello che emerge con più decisione è l’astrazione musicale che disegna un malloppo pieno zeppo di carne infestata dai vermi (parassiti).
È altrettanto chiaro che, per la marcata particolarità della tipologia stilistica, “Parasite” sia destinato a un pubblico che sguazza nell’underground. Non mancando però di farsi notare in sede live, ove supporta con sconfinata passione questo genere di band che, proprio dal vivo, danno il massimo di sé (per esempio, l’ormai leggendario Obscene Extreme Festival).
Da non prendere sottogamba, comunque o, peggio, farsi trascinare dal pregiudizio: i Guineapig sono ben consapevoli di ciò che propongono, e “Parasite” è un frutto (corrotto) ben confezionato.
Daniele “dani66” D’Adamo