Recensione: Parthenope
Uno dei dischi più attesi dell’anno è giunto finalmente al suo finale compimento.
Tanta era l’attesa da parte del pubblico, così come del sottoscritto, per il debutto ufficiale di uno dei più interessanti ed originali progetti musicali mai partoriti da mente italica: Scuorn, unione tra la più sfegatata esaltazione dello spirito partenopeo più puro ed incontaminato e le più tradizionalistiche, se vogliamo così definirle, sfuriate black metal.
Un qualcosa che, già dal principio, è naturale supporre che di base si posa su due concetti apparentemente agli antipodi, eppure qualcuno prima o poi avrebbe dovuto provarci: va da sè che tale concetto ha creato fastidio sin dalle origini, soprattutto verso i palati dei conservatori più estremi del black metal, quella fetta di pubblico che autoeleva se stessa a giudice supremo dell’arte nera…e a tal punto, un “Ma voi chi cappero siete? Chi vi conosce?” mi pare d’obbligo, se non altro perchè nel caso di questo singolare progetto il tira e molla di chiacchiericcio in rete è stato veramente oltre certi limiti di sopportazione.
Tutti geni, tutti esperti conoscitori dell’arte altrui, tutti col palato fine nel criticare su basi di poca consistenza, anche perchè si parla di un qualcosa che va avanti da anni, da ben prima che questo disco fosse concepito anche solo nella sua forma più basica, nel suo scheletro, tempi in cui del buon musicista napoletano esisteva solo un, EP, “Fra ciel’ e terr’ “, ed alcune foto in rete che già allora mostravano un qualcosa che avrebbe molto, ma molto fatto parlare di sè.
..ah, prima di introdurmi in quella che è la descrizione del disco, vorrei riservare una frase verso tutti coloro che difendono il “vero” black metal “italico” limitandosi a scopiazzare qualche riff dei Darkthrone o della scuola scandinava in genere: una copia-carbone di un feeling esterno allo nostra terra natia, non necessariamente diviene vera arte nera italica solo perchè vi limitate a qualche testo in lingua madre…fin quando anche la musica non sarà specchio del vostro retaggio culturale, non potrete mai parlare di vero black metal italiano (ammesso che si possa davvero mai parlare di black metal italiano, si intende).
E queste cose, non le dico io, le disse un certo Nocturno Culto oltre 10 anni fa, in sede d’intervista, parole in cui mi son sempre rispecchiato aldilà delle differenze di visioni e tematiche personali.
Bene, tolta l’introduzione, ora passiamo al disco vero e proprio.
ARTE ESTREMA DI SCUOLA PARTENOPEA
Sì, perchè tale si potrebbe definire tale primo, ma già interessantissimo, parto discografico ufficiale.
E, tanto per tornare al discorso introduttivo, secondo me neanche in questo caso si potrebbe parlare di black metal puro: ma, al contempo del vago esempio citato poc’anzi, qui si respira una forte, fortissima atmosfera italica, partenopea per la precisione. Qui il black metal è infatti solo una base di partenza, un qualcosa da cui iniziare per poi evolversi verso un marasma sonoro fortemente contaminato da quelle che sono le proprie visioni personali, la propria terra natia, in tutte le sfacettature positive ed affascinanti che quest’ultima è in grado di offrire.
Ed ecco che torniamo al mio discorso iniziale, ecco che tutto fa brodo, ecco che tutto trova un senso: il buon Nocturno Culto dieci anni fa mica blaterava scemaggini, giusto per atteggiarsi a chissà chi, diceva queste cose con criterio, tant’è vero che tale parentesi terminava con una frase forse triste ed annichilente per i cosiddetti difensori del “vero” black metal tricolore, e che in linea di massiva recitava la suddetta frase.
“Vorrei trovare un prodotto che rispecchiasse il tipico feeling italiano, ma finora non ho mai trovato nulla, solo gente che copia il nostri tipico feeling senza metterci un pizzico del proprio animo”.
(In quel periodo originario di tale intervista progetti di ben più italica impronta quali Hesperia erano ancora ai primi vagiti, quindi dubito li conoscesse, un vero peccato…)
Che sia forse giunta l’ora in cui possiamo parlare davvero di qualcosa puramente italico e fiero di esserlo che ha raggiunto uno status popolare?
..togliete i forse. L’Italia ha una sua nuova voce in campo estremo.
Arte Estrema di Scuola Partenopea. Scuorn.
“Parthenope” è tra noi.
UN PRIMO VAGITO CHE RISUONA COME UN URLO
Venendo al disco in sè, “Parthenope” si presenta all’ascoltatore come un fiero esaltare le proprie origini di un territorio spesso troppo bistrattato a causa di decenni di luoghi comuni e pessimi esempi, purtroppo tangibili, legati al background partenopeo. Ma in fondo, bastando pochi decenni ad infangare millenni di storia passata?
Credo proprio di no. E questa è la chiave di lettura con cui va interpretato questo singolare progetto di tal novo cantor’ Pulcinella, un Pulcinella che pesca dal più remoto passato del proprio sangue natio allo scopo di riadattarlo alle sue esigenze personali, ai suoi gusti attuali, alla sua visione delle cose.
Il prepotente scuotere di tamburi del pezzo introduttivo apre le danze verso il primo urlo di matrice partenopea, passando a ‘Fra Ciel’ e Terr’ ‘ il compito di mostrare la prima delle arcaiche visioni del suo compositore, dove un riff in stile ultimi Emperor sfocia subito in un susseguirsi di atmosfere epiche dalla fortissima personalità, difficlmente riscontrabili in altre produzioni ascoltate finora. L’uso della lingua napoletana trasferisce il tutto in una dimensione ancor più propria, mentre la produzione, precisa e pulita, svolge il suo compito senza strafare, agile com’è nel mostrare a pieno regime questa opera artistica così singolare.
Il songwriting è di altissimo livello, l’enfasi cinematografica dei singoli episodi raggiunge non di rado livelli di cardiopalma e l’interpretazione del buon Giulian, aiutato da numerosi ospiti d’eccezione, è da Oscar, per via della sua singolarità all’approccio vocale, che spesso non si limita ad un semplice growl o scream, alternando molteplici sfumature. Ogni brano ha le sue valide ragioni per brillare, sul serio, di luce propria, costruendo 10 tasselli di un unico, grande mosaico di imponente fattura.
E se ‘Virgilio Mago’ regala un’avventura ispirata delle arcaiche gesta di tale arcano mago che fu, contando sempre su un songwriting altamente particolareggiato e su cambi di atmosfere perennemente studiati e ragionati (segno di una notevole concentrazione circa il proporre ogni volta un brano di svariata lunghezza in grado di competere sia col capitolo direttamente precedente che col suo successore, allo scopo di fornire un’opera completa e senza riempitivi), “Parthenope” riesce a stregare l’ascoltatore in un vortice di travolgente passione sino al suo ultimo vagito, vagito che risuona, già in questa sua prima veste, come un urlo possente in grado di stordire (ovviamente in senso positivo) chiunque lo ascolti.
E se ‘Tarantella Nera’, brano più breve del lotto, si rivela sul serio una amara e tragica cavalcata metallica nel più puro stile della tarantella (fortissima personalità e coraggio, avanti così), ‘Sanghe Amaro‘ volge verso atmosfere agrodolci, il climax di maggior sospiro lo si ottiene nella conclusiva title-track, autentico capolavoro a sè stante all’interno di un disco così unico nel suo genere, grazie alla sua atmosfera da pelle d’oca ed un finale da brividi, recitato in puro stile cinematografico, che forse meriterebbe davvero una recensione a parte.
Purtroppo temo che il sottoscritto si sia già dilungato troppo, e non sarebbe pertanto il caso di sfornare un altro tema epico: credo che l’epica drammaticità dell’ensemble in oggetto sia decisamente sufficiente.
CONCLUSIONE
Credo che quanto scritto finora faccia capire molto del voto finale.
“Parthenope” è una perla, una vera gemma di arte puramente personale esportata con orgoglio al Mondo intero: il songwriting di livello magistrale e la sua ricercatissima particolarizzazione dei singoli episodi portano questo disco ben oltre gli standard della tradizionale uscita estrema tricolore. Se consideriamo che poi ciò è un qualcosa che affonda nelle radici di una tradizione millenaria, direi che il suo compito di rottura dei tipici (alias tradizionali) schemi del tipico mondo estremo italiano, è un qualcosa di ancor più sensazionale.
Pongo l’accento sul fatto che il voto che vedete lì sotto è un voto altissimo per i nostri standard redazionali, ma in questo caso limitarmi in tal senso mi sembrava riduttivo e non avrei potuto fare altrimenti (non nascondo che il fattore di originalità e relativo coraggio hanno inciso su ben cinque punti della valutazione finale). Potreste anche non essere d’accordo ed è cosa sacrosanta, ma per quanto mi riguarda era da anni che non ascoltavo qualcosa dotato di un livello artistico elevato fino a questa portata, degno davvero di poter essere portato non solo sul palco di un concerto, ma addirittura di un vero e proprio teatro, con conseguente ulteriore sgomento dei soliti puristi conservatori.
Oltre che essere uno dei dischi dell’anno in corso senza esitazione alcuna, “Parthenope” farà scuola, o almeno dovrebbe farla.
Ma probabilmente molti preferiranno continuare a criticare sia questo disco che il suo creatore per i più svariati e futili motivi.
Un peccato.