Recensione: Pathways
I progster spagnoli After Lapse, attivi dal 2018, arrivano con Pathways al secondo studio album, uscito a ridosso dello scorso Natale, preceduto dal lancio del singolo “Clones”. Per chi non li conoscesse ricordiamo che in passato hanno aperto per i Threshold e non nascondono la loro devozione verso band come Dream Theater, Haken, Angra, Kamelot e altri nomi blasonati del panorama power e prog. Quello che emerge dall’ascolto del secondogenito è che rispetto al debutto “Delyriüm” siamo ancora su buoni livelli qualitativi e il gruppo non delude le attese.
L’opener “The Shadow People” è un mid-tempo vicino alle sonorità dei Vanden Plas, con tante tastiere a duettare con le chitarre elettriche e non mancano unisoni gustosi. La sezione ritmica è compatta e, sebbene non pirotecnica, svolge degnamente il suo lavoro. La voce di Rubén Miranda ha carattere e risulta potente e pulita. “Clones” (qui il videoclip) è probabilmente l’epitome degli After Lapse a oggi: ritornello melodico, strofe che strizzano l’occhio agli Haken, atmosfere tra il sognante e il fantascientifico. La band ha scelto un ottimo pezzo come singolo apripista, non c’è che dire.
Ritroviamo l’approccio marcatamente melodico anche in “Dust to dust”: il combo spagnolo si diverte nel proporre un ventaglio sonoro variegato come da migliore tradizione progressive e lo fa riuscendo a risultare moderno e al passo con i tempi.
Convince anche la successiva “Thanks, But No Thanks”: sembra di ascoltare i Threshold in salsa prog-funky, complici alcune linee di basso in slap. Iniziamo a prendere gusto nell’ascolto del platter, merito della carica che riesce a trasmettere il sound degli After Lapse. È quanto accade anche con “Dying Star”, pezzo trascinante e forte di un ritornello lineare con linee vocali stellari. In sede live farà furore.
Un momento di pausa dalle chitarre metal è l’inizio di “Walking By The Wire”: i primi 60 secondi sono, infatti, il preludio di un pezzo che si muove sornione tra strofe con dinamiche trattenute e un ritornello che più saturo vocalmente non si può.
Nel trittico finale i nostri non mollano un colpo. “Wounds Of The Past” è leggermente più spigolosa nelle ritmiche, ma resta il falsetto in stile Angra nel ritornello. Il fantasma di Andrè Matos aleggia anche in “Turn Into Light” e per i fan del grande cantante brasiliano è toccante ascoltare linee vocali che tentano di avvicinarsi alla sua maestria emozionale. Il disco si chiude a sorpresa con il pezzo “Temperance”, musica elettronica che vuole toccare le corde dell’ascoltatore.
In definitiva gli After Lapse, insieme ai Tündra, sono un’altra buona band prog spagnola. Dategli una chance, potreste apprezzarli. Il metal moderno non è fatto solo di djent cervellotico e growl.