Recensione: Patriarchs of Evil
A distanza di ben quattro anni dal precedente “Untrodden Corridors of Hades”, tornano sulle scene i leggendari blackster greci Varathron, nome tra i capostipiti della scena black mediterranea. La formazione dell’Epiro si è imposta alle attenzioni di fan e addetti ai lavori nella prima metà degli anni Novanta, pubblicando il proprio debut album nel 1993, assieme a Rotting Christ e Necromantia, portando la scena ellenica alla ribalta. Purtroppo, per una serie di motivi che non staremo qui a elencare, non è questa la sede per farlo, i Varathron non sono riusciti ad avere continuità dopo i primi due dischi, venendo presto relegati in un angolino della memoria, acquisendo il titolo di cult band. Ritornati con un nuovo full length nel 2004, dopo un percorso caratterizzato da alti e bassi, i Nostri si affacciano prepotentemente nel 2018, pronti a reclamare quanto spetta loro di diritto, con un disco che, stando ai singoli che ne hanno anticipato l’uscita, si prospetta uno dei platter migliori di questo 2018; stiamo ovviamente parlando di “Patriarchs of Evil”, lavoro che ci apprestiamo a curare in queste righe.
Senza perderci in inutili giri di parole, con “Patriarchs of Evil” i Varathron realizzano uno degli assoluti apici della loro discografia, riuscendo a creare un disco capace di riportare in vita l’essenza del black mediterraneo. I Nostri traggono forte ispirazione dagli anni Novanta, mescolando melodie e ritmiche tipiche della scena greca ad atmosfere maestose e gotico teatrali. Una miscela vincente, che rende il disco magico e coinvolgente, carico di passione e spessore emotivo ma, allo stesso tempo, brutale e oscuro. Per provare a descrivere quello che Necroabyssious e compagni sono riusciti a realizzare, dobbiamo riportare alla mente i primi lavori degli stessi Varathron e dei Rotting Christ, aggiungere una piccola componente gotica dei primi Moonspell e inserire alcune melodie figlie dei Septic Flesh. Paragoni che potrebbero risultare forzati e, al tempo stesso, limitanti per l’estro espresso dal combo greco in questa nuova fatica, ma si rendono necessari nel tentativo di porre il giusto accento a tutti gli elementi che costituiscono la fitta trama compositiva ed espressiva di “Patriarchs of Evil”. Sia chiaro, i Varathron non si limitano a riproporre idee vincenti del passato, riescono nel difficile compito di rivisitarle, rendendole attuali e mantenendo intatto quel “sapore” rétro in grado di avvolgere il disco in un’ammaliante aura mistica.
“Patriarchs of Evil” può essere visto come una sorta di viaggio che, attraverso le varie anime e atmosfere che lo compongono, ci condurrà nelle profondità degli abissi più oscuri, alla riscoperta di miti del passato, verso l’essenza del lato oscuro. Le danze si aprono con ‘Tenebrous’, che ci riporta a ritroso nel tempo, agli esordi della scena black mediterranea, per poi lasciare il posto alla violenta ‘Into the Absurd’, seguita a sua volta dall’epica e maestosa ‘Luciferian Mystical Awakening’. Tre canzoni e siamo già ipnotizzati, incapaci di reagire, piegati al volere dei Varathron. La successiva ‘Saturnian Sect’ è uno dei punti più elevati del disco, canzone melodica e incalzante, tipica della scena black ellenica, caratterizzata da un ritornello cupo e oscuro, in cui affiora quell’essenza gotica citata in precedenza. Terreno perfetto per Necroabyssious, che può “vomitare” sul microfono tutta la sua nera essenza. E qui scopriamo una nuova particolarità del disco: con ‘Saturnian Sect’, infatti, sembra chiudersi la prima parte di “Patriarchs of Evil”, quella più vitale e luminosa – termini da prendere con le pinze, ovviamente – presto scalzata da una seconda frazione più cupa e introspettiva, che sfocia in alcuni dei frangenti più violenti dell’album, come accade in ‘Hellwitch (Witches Gathering)’ e ‘Orgasmic Nightmares of the Arch Desecrator’. Come se i Varathron avessero deciso di condurci in questo viaggio verso la conoscenza partendo dal lato terreno della ricerca, rappresentato dalla prima parte dell’album, più concreta e diretta, per poi trasportarci nella dimensione ultraterrena, caratterizzata dal secondo capitolo, più etereo e solenne ma, allo stesso tempo, maestoso e violento, quasi a voler raffigurare la forza, la regalità e l’onniscenza che sanciscono la superiorità delle entità che abitano quei piani sul genere umano.
La prestazione dei cinque è convincente sotto ogni punto di vista. Spiccano le chitarre del duo Sotiris-Achilleas C. e il lavoro alle pelli di Haris. Ma a fare la differenza è il più volte citato Necroabyssious. La sua prestazione al microfono rasenta la perfezione: teatrale, letale, evocativo, un autentico sacerdote oscuro. Una prova carica di passione, capace di donare quel qualcosa in più alle composizioni, rendendole “vive”.
Cos’altro dire su “Patriarchs of Evil”? Che con questo disco i Varathron non deludono le aspettative e, anzi, mettono a segno uno dei dischi più interessanti fin qui usciti nel 2018. Un lavoro dalle potenzialità enormi, carico di passione e convinzione, in cui la qualità e la magia di cui è intriso difficilmente lasceranno indifferenti. Un album che gli amanti del lato oscuro, in tutte le sue forme, non dovranno farsi scappare e che, inoltre, sentiamo di consigliare anche a chi non è avvezzo al genere. Per un’opera di tale fattura un tentativo va fatto. “Patriarchs of Evil” è promosso a pieni voti, bentornati Varathron, avanti così.
Marco Donè