Recensione: Pavlov’s Dawgs
Band immortale i Tankard! Hanno scritto la Storia del thrash metal, sono stati i capostipiti del movimento ‘teutonic thrash’ ottantiano in antitesi con la scena californiana/newyorkese e, ultimo ma non non meno importante, sono giunti al diciannovesimo studio album in ormai quasi quaranta anni di onoratissima carriera.
Pare quasi ovvio affermare che non sempre il tono qualitativo delle uscite s’è attestato a livelli di pura eccellenza. Ma questo è sicuramente normale, vuoi per il fatto di dove rinnovare l’ispirazione, vuoi perché il thrash metal è, quasi per tutti, un modo di esprimersi che necessita di sentimenti di balordia o ribellione, tipici dell’età giovanile. Ovvio che chi è sopravvissuto tutti questi anni, o aveva abilità fuori dalla norma, o aveva cambiato il proprio modo di approcciare al thrash metal o era semplicemente vero fino all’osso. Ecco, i Tankard fanno sicuramente parte di quest’ultimo gruppo di band. La loro coerenza è da sempre un trademark imprescindibile… e per questo non si può non volergli bene! Ma il vero aspetto positivo del tutto è che il gruppo capitanato dal goliardico Gerre, era dal 2008 che non cacciava fuori un disco così convincente, pur dando vita a full-length e split più che discreti, sia per compattezza, sia per la presenza di alcuni brani che davvero spiccavano per bellezza.
A dire il vero, lasciando da parte considerazioni sui capolavori di inizio carriera, già proprio con l’uscita nel 2008 di “Thirst” il trend era in leggera flessione, incurvandosi pericolosamente con “Vol(l)ume 14” per poi riprendere quota coi successivi. Alla notizia di una nuova release targata Tankard, beh, mi sarei atteso qualcosa di buono, ma non di così tirato e valido.
“Pavlov’s Dawgs” spacca di brutto, sembra di ascoltare nuovamente i Tankard di metà anni 2000 quando, con album come “Beast of Bourbon” e “The Beauty and the Beer”, ripresero prepotentemente un posto sulla scena dopo anni in sordina. Ecco, possiamo immaginare di riprendere ora quel periodo e ritenere che “Pavlov’s Dawgs” esca direttamente da lì, da quel modo di comporre ed esprimere il loro sound, bello potente, carico di attitudine e con quel briciolo di ‘sporcizia’ che nel thrash è come polvere di stelle sulle guance di Pollon: un tiro assoluto… e ti dà pure allegria! Se poi segui la filosofia del combo di Francoforte e te lo ascolti con una birra (da litro) in mano… beh, cosa voler di più dal ‘thrash metal‘?
‘Ex-Fluencer’, ‘Beerbarians’, ‘Diary of a Nihilist’, ‘Lockdown Forever’, per condividere con voi quelli che più m’hanno preso, sono pezzi davvero pregni di quel flavour old-school che differenzia, da sempre, un brano dalla vera attitudine thrash metal, da quelli che possono essere invece composti con grande mestiere o che, causa molteplici contaminazioni, hanno perso quel magico impatto primigenio che rende da sempre questo movimento musicale la prima fonte di ispirazione d’ogni movimento estremo che ‘lavora di pancia’, che nasce nelle viscere ed esplode con grande effetto. Ma sono anche pezzi ben suonati, con abilità e ricerca di struttura.
Insomma, sono da ascoltare divertendosi e godendo con entuasistico spirito thrash metal. È questo un aspetto che chi ama la musica estrema in generale (dal thrash, al black, al grindcore, al death metal… al funeral doom) conosce bene e che riesce a percepire, al di là delle considerazioni che sto condividendo con voi. Come per quasi tutto il metal ‘vero’ d’altronde…
“Pavlov’s Dawgs” è un disco metal vero, è vero thrash metal come non se ne sentono molti oggigiorno. Ve lo consiglio davvero.