Recensione: Peace
77
Vista Chino: un nome che ai più potrebbe non dire granché, ma dietro al quale si celano tre pezzi di storia dello stoner rock: John Garcia alla voce, Nick Oliveri al basso e Brant Bjork alla batteria, tutti e tre ex membri dei mitici Kyuss. Non è, viceversa, della partita Josh Homme, impegnato alla voce e alla chitarra con i più morbidi (ma tutt’altro che disprezzabili) Queens Of The Stone Age e, dal 2010, sostituito egregiamente da Bruno Fevery. In realtà è da ascrivere proprio ad Homme (e al bassista originale Scott Reeder) il cambio di monicker da Kyuss Lives!, il nome inizialmente scelto per quella che pareva essere una seconda incarnazione della band di Palm Desert, in Vista Chino, per via di questioni legate ai diritti d’autore.
Fatta la doverosa premessa, vale la pena di chiedersi cosa rimanga dei Kyuss in questo nuovo progetto. Certamente molto: la voce di John Garcia, a dispetto degli anni passati, ringhia febbrilmente come ai tempi d’oro, il basso e la batteria contribuiscono da par loro a ricreare la pesantezza monolitica e pantagruelica ammirata su “Blues For The Red Sun” e persino la chitarra di Fevery replica con precisione e dovizia il suono grasso, ovattato e straniante del miglior Homme. Diversamente da allora, giocoforza, è proprio il guitar work del chitarrista belga, pur efficace, a distanziarsi in alcune occasioni da quel riffeggiare perpetuo ed ossessivo, mostrando una vena molto più “aperta” e rockeggiante che, in ogni caso, non stona.
“Dargona Dragona”, preceduta dall’intro rumoristica “Good Morning Wasteland” e già dataci in (anti)pasto con qualche settimana d’anticipo, apre con disinvoltura l’album, portando le lancette dell’orologio indietro di un paio di decenni e riprendendo il discorso laddove i Kyuss l’avevano lasciato con “Welcome To The Sky Valley” e l’epitaffico “…And The Circus Leaves Town”. Tutta la furia che tanti fan stregò ai tempi di ”Green Machine” torna, poi, a galla prepotentemente nell’imperiosa “Sweet Remain”, una cavalcata rugginosa e sferragliante in cui John Garcia tira fuori il meglio dalle proprie corde vocali. La successiva ”As You Wish” è nervosa e minimale, con lo stoner che sconfina nel doom più che nell’hard classico settantiano, mentre “Planets 1 e 2”, con le vocals filtrate, le atmosfere oniriche e il riffing da manuale, fa sognare di mondi e universi lontani: a ben pensarci avrebbe potuto essere la colonna sonora perfetta per le sequenze nel deserto di quel piccolo capolavoro che fu “Pitch Black”.
Dall’ottima “Adara” in poi, i Vista Chino paiono voler provare a staccarsi un po’ dalla matrice sonora tipica dei Kyuss più cupi e martellanti e ci riescono benissimo, andando a giocare con il rock, il blues e addirittura il jazz. Il breve strumentale “Mas Vino” è praticamente uno stoner/swing notturno e di grande atmosfera che spiana la strada alla rockeggiante “Dark And Lovely” e alla splendida “Barcelonian”, entrambe nobilitate dalla grande prova di un John Garcia in forma smagliante. Il finale non cala ad ogni modo di tono, andando addirittura a proporre la lunghissima suite “Acidize And The Gambling Moose” con i suoi ben tredici minuti a base di stoner/blues spaziale e lisergico, rumorismo e percussioni tribali, né deludono le due bonus track, la stoner ‘n’ rolly “Carnation” e l’ipnotica strumentale “Sunlight At Midnight”.
Un bel come-back, insomma, se tale si può chiamare visti i ben noti problemi relativi all’utilizzo del nome. Problemi che fanno sì che “Peace” si configuri come il primo album di una nuova band, formata in realtà da professionisti più che celebrati e indissolubilmente legati ad una scena, quella dello stoner rock/metal primonovantiano, che continua a fare proseliti. Il bagaglio, in effetti, si sente tutto e se in altre situazioni avremmo di certo criticato un’adesione così marcata ad un suono già indissolubilmente legato ad altre storie ed epoche, visto il background dei componenti, appare forse più appropriato premiare la capacità di riportare a galla uno stile e un’attitudine con una certa ispirazione e tenendosi ben lontano dalla volgare e pantomimica imitazione. Promossi, e speriamo che “Peace” non rappresenti un unicum ma il primo anello di una lunga catena.
Stefano Burini
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