Recensione: Peccatis Nostris + Capistrani pugnator
I The black nascono nel lontano 1988, fondati da Mario di Donato (ex Unreal Terror e Requiem, voce e chitarra), affiancato da Enio Nicolini (basso, membro anche degli Akron) e Gianluca Bracciale (batteria). La band , come spesso accade, è poco conosciuta al grande pubblico ma assai nota nell’ambito dell’heavy metal underground ed ha all’attivo svariati album, tutti rigorosamente in latino/italiano. La proposta musicale è un doom classico di chiara ispirazione sabbathiana ma aperto a sperimentazioni non strettamente metal (come nel penultimo album Golgotha).
Nell’ultima fatica , invece, i The black si rinseriscono pienamente nei canoni del doom purissimo di chiara matrice heavy metal, abbandonando completamente l’italiano in favore del latino, molto più congeniale alle atmosfere mistico-esoteriche che caratterizzano la band. L’album è in realtà costituito da 2 lavori, composti in periodi diversi e che presentano diverse differenze stilistiche, da analizzare quindi separatamente.
Peccatis Nostris è un concept sui sette peccati capitali, per cui sette brani, ognuno con il nome di uno dei peccati. E’evidente la passione dei The Black nel trattare i temi cardine della religiosità cristiana (così come negli album precedenti),e, attraverso questi , l’eterna lotta tra bene e male. Il tutto però è vissuto secondo la prospettiva di una oscura, apocalittica e cruda religiosità prettamente medievale. Un senso di sacralità pervade tutta l’opera, tantochè il cantato, minimale, evoca atmosfere da canto gregoriano. Il misticismo e il fatalismo ricordano molto il senso del trascendente quale potete ritrovare nel ‘Il Nome della Rosa’ , e quale era diffuso e divulgato durante tutto il medioevo italiano.Tale spiritualità, che è cardine spesso ormai dimenticato della nostra cultura, si respira nelle abbazie,nelle chiese.nei conventi , ovunque nel nostro paese. Per rendere l’idea: vi siete mai trovati una sera d’inverno in una cattedrale semivuota e , anche se no n siete cattolici credenti o praticanti, respirarne il silenzio, l’atmosfera? Questo stesso gusto si ritrova nell’opera pittorica di Di Donato (pittore affermato) che illustra tutte le sue copertine . In particolare nell’edizione su Cd troviamo una doppia copertina: sul front Di Donato riproduce una scena tratta dall’Inferno dantesco; nel book invece si ha la seconda copertina in cui ci viene riportata l’immagine di una statuetta (cardine del concept di Capistrani pugnator di cui sotto) con le fattezze dello stesso Di Donato e un paesaggio ricco di simbologie cristiane e personaggi grotteschi. Di fatto il booklet è completamente diviso in 2,ed è possibile acquistare separatamente i 2 album su LP,mentre per comodità editoriali sono stati pubblicati assieme su CD.
Ma torniamo alla musica.
Peccatis Nostris si compone di sette capitoli ognuno incentrato su uno dei peccati capitali: Pigritia, Avaritia, Superbia, Luxuria, Gula, Invidia, ira.Pigritia apre con riff funerei e sabbathiani, il cantato è accompagnato dal backing vocals degli altri membri della band ed il tutto atto a rendere l’ambientazione apocalittica, evolvendo con un incedere marziale e solenne. A brani più veloci come Luxuria e soprattutto Ira si alternano pezzi asfissianti come Invidia. Ogni brano è doom oscuro e roccioso, cadenzato e solenne, un sound ‘antico’ quasi impensabile nelle produzioni moderne, il tutto accompagnato da un cantato che è più un recitato , piuttosto scarno di fronte ai lunghi fraseggi strumentali. Se si vuol trovare un difetto è una certa lunghezza ,che fa perdere un pò di incisività nel complesso quindi può risultare inizialmente ostico ad un pubblico prettamente hard & heavy, ma consiglio di riascoltarlo più e più volte per entrare nelle atmosfere oscure del disco. .
Assieme a questo primo lavoro troviamo su cd un altro mini concept: Capistrani pugnator, scritto circa 2 anni prima di Peccatis Nostris. L’idea viene da una statuetta di pietra trovata a Capistrano (in Abruzzo), statua che ritrae un guerriero del VI secolo A.C. che però ancora l’archeologia non è riuscita pienamente a contestualizzare. Da questa i The Black trovano ispirazione per raccontare la storia di un guerriero quale essa avrebbe potuto essere immedesimandosi nella cultura dell’epoca. Difatti questo concept, pur mantenendo il tipico sound dei The black , si avventura nei sentieri dell’epic metal più lento e cadenzato, anche grazie all’aiuto di altre voci di singer di supporto,dal cantato limpido e solenne. L’apice della solennità si raggiunge con la corale Date illi honorem che racchiude in sè l’ideale di dignità e onore che avrebbe perseguito un nobile guerriero di tale epoca. A questa segue la lunghissima suite , Capistrani pugnator, che apre con una marcia solenne, evolve in un crescendo il cui climax è il cantato a due voci, e chiude con un incedere marziale ancora più monumentale dove la batteria par tamburo di guerra e i sulfurei riff della chitarra portano presagi di sangue e morte.
Nel complesso il progetto dei The Black ha un sapore decisamente ‘antico’ : con perizia e dedizione raccoglie la musica, l’arte, la cultura ma soprattutto il sentire del nostro passato, ritagliando uno spazio a una percezione del mondo permeata di senso del divino e del trascendente, che spesso il mondo moderno ignora o snobba senza soffermarsi o cercare di capire.