Recensione: Penalty by Perception
Gli Artillery sono tornati, oramai lo sanno anche muri e non c’è nulla di nuovo dal 2012, anno in cui il nuovo cantante, Michael Bastholm Dahl, ha preso il posto del deficitario Adamsen per il terzo corso della band che li ha visti pubblicare ben quattro album in sette anni. Senza scavare troppo nel passato, evitando di parlare di quel grande album denominato By Inheritance che ha segnato na piccola fetta di storia, oggi i nostri danesi non sono più la band di una volta; risulta quasi difficile definirli quali thrash a tutto tondo. Siamo onesti, ogni genere, pur avendo le sue restrizioni compositive necessità di essere identificato entro certi schemi, che ad oggi pare proprio non seguano in molti. Non gli Artillery, non i Mucupurulent, nemmeno i Barbaggianni Incarnation seguono lo stile che dovrebbero suonare per filo per segno; che male c’è? Nessuno, siamo in un mondo libero e ognuno ha libertà d’espressione; senza tirarla per le lunghe oggi un album come Penalty by Perception non lascia nulla, ascolto dopo ascolto diventa un flusso di note e voci che si dimentica in pochi minuti. Non ha un utilizzo vero nel mondo di oggi, invaso e sopraffatto da ogni qualsivoglia sperimentazione e potenzialità; a conti fatti oggi gli Artillery, servono solo per ricordarci che ci sono e non aggiungo nulla a ciò che già stato detto in passato. Duro? Probabilmente sì, ma proviamo a negare tale affermazione se si è grado. Ad onor del vero, la ciurma, pur essendo guidata sempre con stile e professionalità dai fratelli Stützer, che sono sotto certi aspetti sinonimo di qualità, non ha la coesione di intenti che pareva esserci sino a qualche anno fà, la band c’è ma ognuno viaggia per una sua meta precisa, senza dare credito all’altro, come entità distinte.
Penalty by Perception non è un disco malvagio, ha molti pregi e assi nella manica, come difetto più grande invece ha quello di essere pieno di filler che sovrastano quelle quattro, cinque canzoni che sono venute fuori discretamente bene, quasi da applausi. Moderati, ma sempre di applausi si tratta. La doppietta iniziale non fa prigionieri e mette subito le cose in chiaro su quale territorio stiamo sorvolando; un thrash veloce e ferale che offre una varietà armonica piena zeppa di spunti interessanti. La Titletrack poggia su un riff corposo e pieno di energia ma le aperture melodiche e la tempistica della batteria al limite del prevedibile, la rendono inefficace consumata e sepolta da quella sana verve che definire power è inevitabile. Ecco l’ho detto, gli Artillery di oggi sono quasi più vicini al power di stampo Gamma Ray che non al trascorso che loro stessi hanno forgiato e dato alle stampe. Il problema più grande della band oggi è quello di essere stata in grado di mettere il piede in due scarpe senza riuscire ad infilare e vestire bene nessuna delle due. Rise of War, Cosmic Brain con i suoi chrous, Path of the Atheist e la conclusiva Welcome to the Mind Factory non funzionano bene, riducendo le prestazione da parte dei membri ad un compitino da sufficienza risicata, svolto in modalità stanca e senza ispirazione. Il lentaccio When The Magic Is Gone ancora mi chiedo a cosa serva e preferisco sorvolare. Non è una presa di posizione, ho sempre rispettato e pensato che questi signori abbiano ricevuto molto meno rispetto a ciò che si meritassero in passato, ma ad oggi che senso ha proporre un album di undici tracce, delle quali funzionano e han senso di esistere solamente il 40 %? Mercy of Ignorance è una canzone che prende a pieno l’epoca di Ride the Lightning e cerca di dargli un tono di personalità, peccato che non funzioni, scivolando in banalità come il ritornello trito e ritrito da millenni ad oggi. Penalty By Percepiton manca di grinta, che sì viene esemplificata in ogni traccia dall’inizio alla fine viaggiando come un porcospino attizzato, ma a fine corsa, quando anche la bonus track è conclusa e il player ha smesso di cantare, non rimane nulla, lo status emotivo è pari a zero. Sopra ogni cosa, sentire una band dal passato glorioso che cerca di andare avanti, riuscendo a fare solamente la metà di ciò che avrebbe nelle corde è ancora di più offensivo nei confronti di album che han segnato, anche se minimamente, un’epoca. Non ci siamo e sopratutto, questo cantante è fuori dai canoni. Volete un disco thrash che suoni in pulito ma con della grinta? Perché non si è fatto in modo di mantenere Adamsen, che nel suo piccolo almeno qualche sprint lo tirava fuori e aveva quella carica necessaria per figurare in un album dal moniker Artillery? Ai posteri l’ardua sentenza. Buona la produzione che è più dilatata ed organica rispetto alla fragilità del precedente Legions, ma possiamo accontentarci di questi piccoli effetti placebo? Non nel 2016.
Chiudiamo questa amara recensione, che voleva essere tutto tranne che questo; chiudiamo un capitolo e guardiamo la realtà dei fatti. Come detto all’inizio, sono le intenzioni dei singoli che si scontrano e non offrono un amalgama perfetta, dove uno suona X l’altro Y e il terzo Z, chi ne va a risentire è solamente la band, senza una vera identità e senza mordete. Oggi gli Artillery non hanno più la verve, la capacità di ricalcare ne il loro passato ne il nuovo che avanza, non hanno la grinta sufficiente e numeri per risaltare al di fuori del folto numero di band che in giro creano album di alto spessore in ambito thrash senza molte pubblicità e grandi case discografiche alle spalle. Non è giusto nemmeno parlare bene di una band che è la cover di se stessa, con velature più o meno power oriented, esplicate in malo modo. Penalty by Perception è un disco che a conti fatti si ascolta, ma che paradossalmente passa come l’acqua del fiume: scorre costantemente, sembra uguale a se stessa, sino a quando un onda arriva e distrugge tutto. Adieau.