Recensione: Perennial Void Traverse

Di Daniele D'Adamo - 22 Aprile 2016 - 17:42
Perennial Void Traverse
Band: Reptilian
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2015
Nazione:
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70

Ormai è un dato certo: la miscelazione del death metal con il doom è una delle contaminazioni più riuscite e, quindi, praticate, nel mondo del death medesimo.

Non si contano più, difatti, le band che suonano questa particolare commistione che, in effetti, pare essere un prodotto naturale, anzi istintivo nel proprio meccanismo formativo. Fra le ultime, ci sono i norvegesi Reptilian, formatisi nel 2012, che, con “Perennial Void Traverse”, raggiungono il traguardo del primo album in carriera. Preceduto, soltanto, da uno split con gli Inculter, targato 2013.

Il risultato della somma di questi due generi-madre, death e doom, è raffigurativo di un sound assai visionario, lisergico, figlio dei fiori. I ritmi veloci si alternano, si aggrovigliano, s’intrecciano con quelli lenti. Per un andamento sinuoso, caldo e avvolgente; come le spire di un serpente. Per ciò, forte, deciso, stringente. Sulfureo, soffocante.

Esattamente, quindi, come lo stile dei Reptilian, che si erge titanico sulla base di sei song sterminate, figurativamente parlando. Immensi territori brulli, desertici, aridi, ove tracciare i righi di una musica altrettanto asciutta, pesante, opprimente. Ma allo stesso tempo caotica e convulsa, quando il drummer decide di alzare il numero dei BPM, arrivando – anche – a oltrepassare la pericolosa soglia dei blast-beats (‘Cede to Celestial Providence’). L’ugola di C.B., poi, è come la ciliegina sulla torta, per il suono emesso dalla formazione di Fusa: secca, acida e riarsa. Come se fosse alle prese con una perenne sete di acqua, che non c’è. Da nessuna parte.

Com’è logico che sia, le canzoni di “Perennial Void Traverse” si sviluppano come suite, seguendo così la tradizione compositiva del doom. In ciascuna di esse, allora – da ‘Swamp’ a ‘Transmigration’ – , i caratteri di peculiarità tipologica sopra citati si ritrovano tutti, sparsi qua e là. Seppure, a parere di chi scrive, i Nostri paiano più efficaci nei momenti più concitati, come per esempio in ‘Possessed by the Eyes of the Living God’. Perché è lì che, comunque, il flavour di cui è ammantato il platter resta inalterato, originale. Come se l’allucinata forma della musica del quartetto scandinavo fosse in qualche modo immune ai mutamenti cinetici.

Il death… sperimentale dei Reptilian, si può affermare riuscito, come stile. “Perennial Void Traverse” è forte e adulto, significativo dell’identificazione di un marchio di fabbrica certo. Durante lo svolgimento dei brani, inoltre, essi riescono a non ridondare, a trovare, cioè, soluzioni diverse alla stessa equazione. Tuttavia, manca qualcosa. Qualcosa di sfuggente, di indefinibile. Il tipico quel qualcosa in più, appunto, in grado di far fare la differenza a chi lo possiede. Difficile a dirsi, cosa non ci sia nel disco. Sicuramente è più semplice elencare cosa ci sia, al contrario.

E, di roba, ce n’è, in “Perennial Void Traverse”. Anche se, sfortunatamente per i Reptilian, non in straordinaria abbondanza.

Rimandati alla prossima.

Daniele D’Adamo

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