Recensione: Perfect Light
Più di una decina di anni fa, parlando davanti a una Guinness dei 40 Watt Sun (l’allora nuovo progetto di Patrick Walker), un amico, nonché compagno di concerti, li descrisse come “i Pearl Jam del Doom”, cosa che – da fan dei lavori della band di Seattle (almeno di quelli tra il 1991 e il 2000) – considero un complimento, . Quella descrizione si rivelò non solo calzante per “The Inside Room”, l’LP di debutto del gruppo, ma in qualche modo profetica rispetto alla strada successivamente intrapresa dagli inglesi. Ma procediamo con ordine…
Patrick Walker, cantante e chitarrista originario dell’Essex, è stato il mastermind dei The Warning, formazione britannica attiva in modo discontinuo tra il 1994 e il 2009 e riunitasi nel 2016 per sporadiche esibizioni live. Muovendo i primi passi in territori palesemente sabbathiani, sia per il sound cupo e lento che per le liriche a sfondo orrorifico, la band ha saputo presto definire il proprio particolarissimo brand che rimane tutt’ora unico: un Doom raffinato e riflessivo caratterizzato da riff monolitici che fanno il paio con un linee vocali melodiche e colme di emotività, come traspare dai full lenght “The Strenght to Dream” del 1999 e “Watching from a Distance” del 2006.
Dopo il loro scioglimento, Walker continua il discorso intrapreso con i due album sopracitati con i 40 Watt Sun, dalla cui produzione emerge una vena cantautorale tanto pronunciata che, se stilisticamente “The Inside Room” (2011) e “Wider than the Sky” (2016) sono ancora ascrivibili a una forma particolarissima di Doom, il nuovissimo “Perfect Light” si distanzia completamente dai canoni del genere per abbracciare un’ impostazione a metà strada tra l’ Alternative Rock e il Folk, con toni ancora più pacati e introspettivi dei suoi predecessori.
“Perfect Light” è fresco d’uscita per la finlandese Svart Records. Dai credits si evince come, per l’occasione, Patrick abbia rimodellato la sua creatura in una one-man band in cui si occupa non solo del songwriting, della chitarra e della voce, ma anche di basso, ebow, piano e sintetizzatori. La release vede la partecipazione di svariati ospiti, tra cui Roland Scriver, chitarrista dei puristi del Traditional Doom britannico Serpent Venom, Andy Prestidge, già batterista dal vivo per 40 Watt Sun e The Warning e Lorraine Rath dei Worm Ouroboros.
L’album si apre sulle note di “Reveal”, uno dei brani più minimalisti mai proposti dal musicista inglese: arrangiamenti di chitarra acustica e mandolino, qualche nota di basso a infondere profondità e le tenui melodie vocali di Patrick che si intrecciano a quelle della guest vocalist Nicola Hutchison, che impreziosisce alcuni passaggi con il suo contributo al violino. Qualche volta less is more: questo pezzo, strutturalmente così semplice, è una perla di struggente malinconia e comunicativo come pochi sanno esserlo.
Se “Behind my Eyes”, “The Spaces in Between” e “A Thousand Miles” sono tracce d’impostazione tipicamente 40 Watt Sun per il ruolo centrale attribuito dalla voce, si distanziano dai lavori precedenti perché i fragorosi riff lenti e downtuned sono qui sostituiti da arpeggi di chitarra elettrica (le prime due) e acustica (la terza) eseguiti su una sezione ritmica dall’andatura pacata. Decisamente atmosferiche, non mancano di esibire qualche apertura al Post Rock. “Until” e “Rise Me Up” sono altri episodi acustici, con sporadiche incursioni elettriche, basati su crescendo che gradualmente conducono a sezioni in cui strumenti e linee vocali raggiungono all’unisono picchi di intensità e pathos. “Colours” e “Closure”, che – come suggerisce il titolo – è il pezzo di chiusura, riprendono il minimalismo della opener: se la prima è davvero scarna, con i soli arpeggi a sostenere il cantato, la seconda è più consistente grazie all’apporto di piano ed archi.
L’attenzione al dettaglio riposta nelle fasi di registrazione e produzione consente a ogni strumento di emergere distintamente in un ambiente sonoro caldo e ovattato. Se questo album non è Doom dal punto di vista musicale, lo è invece – eccome – sotto il profilo concettuale, con la malinconia e la riflessività tipiche del genere a rappresentarne gli elementi chiave. La delicatezza sonora di “Perfect Light” non induca a pensare che si tratti di una easy listening: i suoi circa 67 minuti dimostrano al contrario come la pesantezza non sia attributo esclusivo di chitarre distorte e batterie roboanti, ma come possa risultare anche dall’emotività struggente veicolata da una musica tranquilla.
Senza dubbio questo disco rappresenta uno stacco netto, ma non poi così inaspettato, rispetto al back catalogue di Walker. Forse in futuro Patrick tornerà a quel suo personalissimo modo di intendere il Doom o forse proseguirà nella direzione cantautorale qui intrapresa, difficile dirlo … quello che rimane è una prova di grande valore, ma che come tutti i lavori dei 40 Watt Sun porta in sé tutte le caratteristiche per risultare ampiamente incompresa e divisa. Dategli una possibilità e fatevi una vostra idea…