Recensione: Periphery V: Djent Is Not A Genre
Che fine hanno fatto i Periphery? È da qualche tempo che non sentiamo parlare di loro. Dal 2004, anno di fondazione, ne hanno macinata di strada i ragazzi del Maryland: un tour europeo con i Dream Theater nel 2012, i due album Juggernaut, Periphery III, IV, una nomination per i Grammy Awards e oggi finalmente il capitolo V, con un titolo che è tutto un programma.
Con Djent is not a genre i Periphery hanno partorito l’ennesimo tassello poderoso della loro discografia, dopo un lungo periodo di incubazione non privo di difficoltà interne alla motivazione della band. Quello che emerge, infatti, leggendo le loro dichiarazioni è il desiderio di mettersi in gioco e alzare il livello qualitativo che li ha spinti a superare il periodo buio della pandemia e continuare a divertirsi ed emozionarsi con la musica.
Troviamo così in scaletta alcuni pezzi schiacciasassi come l’opener, la ballad elettro-pop “Silhouette” e la potenza tecnica di “Zagreus” (omaggio al videogame Hades) che confermano le abilità tecniche messe in campo dalla band e le portano a un livello ulteriore e sfidante.
Prima di schiacciare play sappiate che l’album inizia in modo brutale. “Wildfire” è uno dei pezzi più pesanti mai composti dai Periphery. Sette minuti di assalto sonoro, con scream, chitarre droppate e un drumwork martellante vicino ai Meshuggah. Non manca comunque la melodia delle linee vocali pulite, aspetto che avvicina i nostri a gruppi come i Coheed and Cambria. Stupisce, infine, la sezione jazzy al sesto minuto, un momento di sana follia tra tanta potenza metal. Le atmosfere restano cupe e compresse anche in “Atropos”, brano intitolato alla parca inevitabile, colei che taglia il filo della vita ai mortali. C’è la vena progressiva, ma anche alcuni blast-beat, le chitarre sono abrasive, non mancano le urla. Curiosamente, come per l’opener, anche in questo caso compare una coda orchestrale cinematica piuttosto accattivante.
Chi preferisce il lato più accessibile della band americana apprezzerà la successiva “Wax Wings”, brano rifinito, senza scream e che procede seguendo uno sviluppo lineare ma comunque potente. Con “Everyting is fine!” si ritorna al djent tout court, le chitarre torturate di Jake Bowen e Mark Holcomb emettono suoi dissonanti e striduli all’avvio; serve la giusta predisposizione all’ascolto per approcciare i decibel messi in campo. Qualora siate sopravvissuti, a ristorare gli animi ci pensa “Silhouette”, l’altra faccia della medaglia del sound Periphery. È notevole constatare come si passi di colpo da una palette sonora devastante a toni pop da hit radiofonica. Il bello di ascoltare questa musica è anche il piacere di essere stupiti da simili contrasti.
Gli ultimi quattro brani in scaletta sono tutti da scoprire.
“Dying star” è un bel pezzo in clean con rimandi al guitarwork più moderno (chi ha detto Plini?), tutto molto scorrevole e melodico. “Zagreus”, dedicato alla divinità ctonio-orfica presente nel videogame Hades, alterna invece momenti pesanti a sezioni melodiche con un buon bilanciamento complessivo. Nel finale sembra di ascoltare i Two steps from hell…
L’album si chiude con due brani che superano i dieci minuti ciascuno. “Thanks Nobuo” è dedicato a Nobuo Uematsu, autore delle colonne sonore di Final Fantasy. Qui sta la matrice postmoderna del sound targato Periphery: i nuovi punti di riferimento provengono anche dalla cultura pop e videoludica, non c’è più distinzione tra elitario e commerciale. Da brividi gli ultimi minuti del pezzo, Vangelis approverebbe.
L’album poteva chiudersi in questo stato di grazia e invece è la volta del brano più lungo in tracklist, “Darcul gras”, con un avvio schiacciasassi e testi altrettanto cupi: «Daylight fading / Desolate skyline / Sun retreating giving way to dusk»… Bisogna aspettare quasi quattro minuti per poter rifiatare dall’ennesimo assalto sonoro. Prima che cali il sipario il brano cambia pelle più volte fino a un epilogo fatato elettro pop.
Con “Periphery V Djent is not a genre” i Periphery regalano una versione più matura e olistica del loro trademark, non possiamo che constatare l’avvenuta maturazione del combo, proprio come avvenuto con Fauna degli Haken. L’album accontenterà i fan della band, anche quelli che prediligono il suo lato meno estremo: da un lato abbiamo infatti brani potenti (“Wildfire”, “Atropos” e “Zagreus”), dall’altro pezzi più accessibili come “Wax Wings”, “Silhouette” e “Dying star”. Interessante anche l’idea di chiudere spesso le tracce con delle code strumentali. In definitiva un ottimo ritorno in campo dei Periphery, un album da non lasciar passare inosservato in questo inizio di 2023.