Recensione: Permission To Fly

Di Roberto Gelmi - 8 Settembre 2024 - 10:03
Permission To Fly
Etichetta: Insideout
Genere: Progressive 
Anno: 2024
Nazione:
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75

In anticipo sull’atteso nuovo album dei Dream Theater con il ritorno di Mike Portnoy alla batteria, il prolifico Jordan Rudess dà alla luce un nuovo capitolo della sua lunga carriera solista, iniziata nel 1993 con Listen, disco che lasciò entusiasti fan e critica. Jordan è un uomo che ha scelto di dedicare la propria vita alla musica, a 67 anni riesce ancora a trasmettere entusiasmo e magia, basti vedere la sua prova al Rock in Rio di quest’anno o la sua analisi del classico “The dance of eternity”…

Per quanto riguarda Permission to fly, il key-wiz ha assoldato una vera line-up, che include un cantante, e testi sono stati scritti dalla figlia Ariana; non il grande cast del precedente Wired for madness (prodotto più ambizioso), ma l’idea di fondo è quella di disco meno pretenzioso e più coeso. Troviamo, perciò, alla voce Joe PayneDarby Todd (Devin Townsend) alla batteria e  Steve Dadaian alla chitarra (con alcuni assoli opera dell’ospite Bastian Martinez). Dal punto di vista delle tematiche, a detta di Jordan «The essence of the album is deeply informed by the tumultuous events of 2023-2024, with motifs of peace and anti-violence woven throughout many of the songs» (L’essenza dell’album è profondamente ispirata agli eventi drammatici degli anni 2023-2024, con tematiche di pace e non violenza che ricorrono in molte canzoni”).

Il pezzo che apre il disco, “The Final Threshold”, è un buon opener. Le linee vocali prediligono registri alti (una costante lungo il platter), le atmosfere sono progressive ma non ipertecniche. Un avvio fatato e su ritmi compassati, ma a seguire troviamo già il pezzo più lungo in scaletta. I quasi dieci minuti di “Into the Lair” (Dentro la tana) con i loro saliscendi emotivi sono quanto a oggi può ancora proporre la mente falotica di Jordan. Parliamo, infatti, del brano migliore di Permission to Fly. L’avvio è l’ingresso nel paese delle meraviglie, poi tra quarto e quinto minuto la sezione strumentale dilaga sorretta da un basso continuo insinuante; ma nel resto della composizione non mancano momenti con ritmiche metal “doppiate” dal synth più acido di Jordan e un assolo di Bastian Martinez che richiama il virtuosismo di John Petrucci.

Con un simile avvio, siamo invogliati a proseguire l’ascolto, inutile negarlo. Prima dei due singoli già rilasciati su YouTube, è la volta di “Haunted Reverie”. Jordan è un maestro anche al pianoforte, non solo alla tastiera, ascoltare la sua maestria e delicatezza ai tasti d’avorio è ogni volta rigenerante. Questo è un altro brano lisergico ben integrato nel mood del disco.

La coppia “The Alchemist”-“Embers” è stata la piacevole sorpresa che ha preannunciato l’uscita del full-length. Nelle vesti di alchimista Jordan fa faville e anche i testi sono ispirati: «A kingdom of peace / Is what he deemed it be / His masterpiece, his final apogee (Un regno di pace / Ecco cosa riteneva che fosse / Il suo capolavoro, il suo apogeo finale)». La metafora della musica come esperimento “magico” di libertà non prelude tuttavia a nessuna dichiarazione faustiana, le ultime parole cantate da Joe Payne sono «I’m just a man / Only just a man». Un bel messaggio, non c’è che dire. Lo stesso discorso vale per “Embers” (Braci), ballad che inneggia all’utopia catartica: «And in your beating heart you see / A pathway towards a better place / Where we can all be free». Un altro inno in miniatura cesellato dalla maestria di Jordan.

I venti minuti che compongono l’ultima parte del platter si dividono in quattro ulteriori tasselli che non aggiungono molto a quanto già detto fin qui. Spicca l’articolata e a tratti spigolosa “Eternal”, con un inizio che ricorda il sound degli Ayreon (ma anche le sonorità spaziali di Feed the wheel, disco solista di Jordan del 2001); e, a chiudere il cerchio, l’epilogo “Dreamer”, pezzo per solo sintetizzatore (anche d’arpa).

Permission To Fly è in definitiva un album intimista, che dipinge una serie di elegie dai toni toccanti e visionari. Non lascerà delusi i fan ed è un’altra discreta prova di Jordan Rudess che lascia ben sperare per il nuovo disco della sua band madre. Aspettiamo, dunque, i Dream Theater al varco sperando in un ritorno alle sonorità e all’ispirazione che li ha resi grandi.

 

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