Recensione: Perpendicolari
Esordio caleidoscopico per i torinesi Ozora, quartetto di musicisti attivi nel sottobosco musicale italiano da una ventina d’anni e dal bagaglio di influenze quantomeno variegato: i nostri, infatti, spaziano dall’indie rock al nu metal, passando attraverso progressive e thrash fino ad insospettabili, ma solo fino a un certo punto, derive cantautorali (si veda ad esempio “Volta la Carta”, rielaborazione del classico di De André in una energica versione dal retrogusto ai limiti del punk). Il risultato della commistione di tutti questi elementi è “Perpendicolari”: un album coraggioso, polimorfo e contaminato senza per questo apparire anche confusamente eterogeneo. Una linea guida principale, quella del rock alternativo, che si moltiplica all’improvviso in direttrici tra loro indipendenti le quali, a loro volta, si stiracchiano a toccare territori apparentemente inconciliabili, mantenendosi al tempo stesso intelligentemente coerente con se stessa indurendo, addolcendo e diluendo la propria proposta a seconda delle necessità e danzando tra i generi nello spazio di una strofa. A prescindere dalle preferenze personali (a me, ad esempio, questo genere non fa impazzire) non si può negare che questi quattro signori sappiano suonare e, soprattutto, sappiano mettere le loro capacità al servizio delle canzoni e non il contrario, sfaccettandole quanto basta per lasciar intravedere ciò di cui sono capaci senza sterili e baracconeschi sfoggi di millanteria strumentale. Anche la gestione delle emozioni in quest’album mi ha piacevolmente colpito, con brani dal mood cangiante ma che si mantengono comunque molto bilanciati anche da questo punto di vista e non fossilizzati su un unico tema emotivo, se mi si passa il termine. Ecco quindi che rabbia e tristezza si trovano a procedere a braccetto, per poi cedere il passo a sporadici inserti di speranza e paura e tornare alla carica propositiva iniziale, non prima però di aver sputato il proprio disprezzo all’indirizzo del bersaglio di turno: un vortice inizialmente spiazzante e vagamente schizoide che però non perde mai la giusta rotta, restando funzionale allo scopo prefissato e tenendo sempre l’obiettivo ben inquadrato nel mirino. Ecco quindi brusche accelerazioni che sfumano in assoli dilatati, scanditi dai rintocchi di una ritmica ora ipnotica, ora indolente, ora furibonda; un basso che abbandona ogni tanto il sentiero tracciato per lanciarsi in dissonanze improvvise, duellare con le chitarre o far da contrappunto alla voce; arpeggi di chitarra trasognati e non privi di un certo lirismo che cedono il passo a riff corposi e pesanti per sorreggere linee vocali che passano da romantici sussurri a strepiti furenti.
In realtà qualche momento non proprio riuscitissimo c’è, almeno a detta di chi scrive: ad esempio un brano come “L’Avevi detto Tu”, per quanto variegato e cangiante, poteva a mio avviso essere sforbiciato di un paio di minuti senza perdere nulla del suo appeal ma, anzi, guadagnandoci in densità, mentre non mi è molto piaciuta nemmeno la conclusiva “amOre”, ballata carina ma che secondo me alterna momenti interessanti e carichi di pathos ad altri più sottotono. Ciò detto, non posso comunque non far notare come questo “Perpendicolari” scorra egregiamente per tutta la sua durata e catturi fin da subito l’attenzione grazie ad un suono ricercato ma non didascalico, capace di essere al tempo stesso fresco e minuzioso e che, proprio per queste sue caratteristiche intrinseche, possa ambire a far presa su un pubblico decisamente eterogeneo e non necessariamente limitato all’ambito pesante.
Che non è cosa da poco.