Recensione: Perpetual Motion Of Deceit
Facciamo un passo indietro: gli Any Face (traducibile in italiano come “Una faccia qualunque”) sono uno di quei gruppi della scena underground italiana che, nel corso del tempo, ha compiuto una notevole evoluzione stilistica, sorprendendo fan e critica. Nel 2006, ben sei anni dopo la loro fondazione, videro il rilascio del debutto “Craving Out of Mist”, costituito da sonorità death metal tecniche e moderne (a tratti quasi -core), sprazzi di tastiere e da una voce principale femminile. La lineup, negli anni, ha subito vari cambiamenti, che senza dubbio hanno influenzato il sound generale dei lavori successivi.
Fatta questa piccola premessa, mi ritrovo a recensire la terza fatica di questa band che, bene o male, si è sempre fatta notare nel panorama death italiano, arrivando ad affiancare, in live, gruppi come Necrodeath, Impaled Nazarene, In.Si.Dia e At The Gates. Quello che emerge dall’ascolto di questo full-length è un ottimo concentrato di death metal tecnico e progressivo, con chiare influenze da parte di Death, Meshuggah, Atheist e Cynic, fra le principali. Il tutto realizzato con gran cura tecnico-compositiva: non mancano sfumature jazz e classiche.
Fra i pregi principali di questo disco, il più evidente è l’eccellente arrangiamento delle tracce, mai scontato e azzeccato in passaggi come la title track. La presenza di Tommy Talamanca (Sadist) come produttore è un grosso aiuto che giova alla riuscita finale delle otto canzoni di “Perpetual Motion of Deceit”. Antonio Pollizzi, attuale axeman del gruppo, fa risaltare le sue doti chitarristiche in riff potenti e momenti solistici di matrice fusion. Il lavoro del basso è eccellente e la voce, seppur non ottima, non risulta affatto fastidiosa, in quanto abbellita da cori di diversa tonalità che si sovrappongono creando una struttura vocale interessante. Le soluzioni ritmiche della batteria sono estremamente precise, forse troppo, e questo mi fa pensare che sia stato utilizzato un drummer virtuale (come quello di Logic Pro X). Fra gli altri punti a favore, vi sono una buona presentazione visiva (per quanto poco possa influire nel giudizio complessivo) e la presenza di voci femminili rispettivamente nella sesta e nella settima traccia. Nonostante ciò che ho appena elencato, sono inevitabilmente presenti anche dei difetti. In primis, in alcuni momenti il suono delle chitarre risulta “sloppy” (non mi viene in mente un termine italiano che possa rendere meglio l’idea) e questo penalizza la resa degli assoli; il drumming, come ho già detto in precedenza, per quanto ottimo, è talmente preciso da sembrare un drummer virtuale. Questo però non va assolutamente ad influire sulla votazione finale del platter: un disco del genere uscirebbe bene anche con la drum machine più scarsa.
Sarebbe troppo lungo scrivere una recensione track-by-track, quindi opto per una descrizione dei momenti migliori del full-length. L’opener “Twisted Motion of Deceit” è un cazzotto in faccia all’ascoltatore: riff memorabili e spacca-collo si susseguono in un crescendo di potenza interrotto solo da alcuni breakdown. Dopo una breve citazione chitarristica ai Death più ispirati viene introdotto uno dei riff migliori di tutto questo LP, che accompagna un breve assolo melodico incastonato perfettamente. Un altro brano ottimo è “Trapped in Yourself”, condita da momenti progressivi notevoli e da una sezione centrale pulita ansiolitica che fa prendere un attimo di respiro prima dell’ennesimo breakdown violento. Ancora più bella è la parte jazz-progressive che parte dal quarto minuto, splendida, forse un po’ penalizzata dal drumming molto presente e rumoroso, che per qualche secondo richiama gli Smashing Pumpkins di “Tonight, Tonight”. Infine, non posso non citare la traccia migliore del disco, nonché title-track, un lavoro di perizia compositiva impegnata, ispirata e orientata al futuro. I richiami ai Death, ai primi Meshuggah e agli Animals As Leaders qui sono abbastanza evidenti, specie nella prima parte di questa strumentale. Da sola vale l’acquisto dell’intero LP.
Riassumendo, gli Any Face hanno trovato la formula vincente per rilasciare un album degno del loro nome. Forse il suono di alcuni strumenti non è eccellente e penalizza soprattutto la seconda metà del disco, ma per questa volta posso chiudere un occhio e alzare il voto di qualche punto. Dunque, complimenti agli Any Face, auguro loro tutto il meglio e spero mi possano sorprendere ancor di più con il prossimo LP.