Recensione: Perpetual Time

Di Francesco Sgrò - 24 Giugno 2014 - 15:23
Perpetual Time
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2009
Nazione:
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73

Correva l’anno 2009, quando dalle assolate terre spagnole i power metallers Motto Perpetuo pubblicavano timidamente questo “Perpetual Time”, primo e (finora) unico lavoro in grado di testimoniare l’esistenza di questo quintetto, in precedenza autore solamente di un demo autoprodotto datato 2003.
Anticipato da un artwork dal sapore settecentesco, teatrale e sufficientemente suggestivo, i nostri realizzano un’opera caratterizzata da un’ottima produzione, allestendo una manciata di brani interessanti e ben eseguiti tecnicamente, in cui spicca l’ugola della bellissima singer Mireia Farrè, le cui melodie vocali fanno da cornice ad un album di classico power metal sinfonico, non originale ma discretamente piacevole all’ascolto.

Ad inaugurare le danze sono proprio le note della breve e strumentale Title Track, immancabile intro sinfonica che sottolinea immediatamente le coordinate musicali che il combo spagnolo intende seguire nel corso del platter, spezzando subito ogni indugio per trasportare l’ascoltatore al cospetto della decisa “Angels Memories”, opener cadenzata ed incentrata prepotentemente sull’operato tastieristico svolto dal bravo Javi Fernández: lo scopo evidente è quello di donare alle composizioni un tocco mai fuori luogo di sottile malinconia e decadenza, prima di cedere il passo ad un “dinamico” coro barocco che suggella un buon risultato complessivo.

Con “Reach The Glory”, la band abbandona le velocità controllate del brano precedente per adagiarsi su lande maggiormente sostenute, sfoggiando uno schema compositivo maggiormente solido, il quale presenta una serie di buoni riff, sorretti da una sezione ritmica efficace e da un ritornello melodicamente semplice e ben riuscito
La lezione impartita dai conterranei Dark Moor è stata ben assimilata da questo giovane gruppo che con la melodica “Breaking The Silence” presenta un songwriting piuttosto maturo.
L’articolata “Children Of The War” tinge l’atmosfera di una cupa malinconia che esplode in un refrain battagliero e melodico, ben interpretato dalla bella vocalist.
Un solenne tappeto tastieristico presenta la “False Madness”, ancora in stile con l’anima dei primi Dark Moor, come evidenzia l’ottimo coro, diretto ed orecchiabile
La seguente “Life’s Mirror” prosegue con coerenza e senza grandi sorprese questa opera prima, la quale comunque riesce a scorrere piuttosto agevolmente grazie ad una serie di soluzioni melodiche e chitarristiche non innovative ma comunque in grado di stuzzicare l’attenzione di chi ascolta.
Un velo di malinconia torna ad aleggiare tra le note dell’intensa “Seventh Heaven”, ballad solenne e crepuscolare, dominata soprattutto dal tappeto tastieristico orchestrato dal già menzionato Javi Fernández, il quale supporta l’ottimo guitar solo, molto melodico e carico di pathos, eseguito dal fratello Jordi.

Accantonate poi le atmosfere intimistiche, i nostri tornano con successo a tingere l’aria di un power metal, melodico e serrato, con la rasoiata di “Don’t Live Caught In Time”, la quale fa il paio con la teatrale ed epica “Lord Of The Masks”: chitarra e tastiere creano un muro sonoro in equilibrio fra potenza e melodia su cui la voce della cantante può esprimersi al meglio, permettendo così all’opera di giungere con fierezza alla conclusiva ed atmosferica “Motto Perpetuo”, traccia che esemplifica il buon valore di un gruppo dalle notevoli doti tecniche e di songwriting.

Dopo quest’ennesimo buon esempio di Power melodico ecco le tre tracce bonus, originariamente apparse nel demo apripista composto dal gruppo iberico qualche tempo prima del debutto. Un buon contributo nel rendere la proposta del quintetto spagnolo ancor più interessante, per un album d’esordio nel complesso soddisfacente.

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