Recensione: Persistence of Time
L’accoppiata Among The Living (1986)/State of Euphoria (1988) ha segnato la fine di un era per quanto concerne la scelta di comporre secondo il puro ed impattante mosh sound. Il riferimento è a quell’unico mosh/bay area thrash che aveva saputo concentrare nei cambi di tempo e nelle stoppate la sostanza plasmatica del core più stradaiolo che ci fosse in circolazione. Quelle schegge di suono già dipinte dall’hard core prima, e dal thrash core dopo, erano ormai metabolizzate ad Anthrax Sound.
Il fatto è oggettivo ed insindacabile: con questo album si esaurisce una parte della loro storia. Parte caratterizzata dai turbinii moshing che avevano spiazzato la scena thrash mondiale in lungo e in largo portando alla luce aspetti compositivi più o meno classici eretti su stilemi core, ma finemente elaborati.
Persistence of Time è anche l’ultimo album con un immenso e stimolato Belladonna dietro il microfono al quale, però, si riconosce la grande coerenza di continuare a spaccare senza perdere la motivazione pure in Attack of the Killer B’S (1991), a onor di causa, un fatto non facilmente riscontrabile (il singer infatti non riuscì ad accettare il cambio di rotta stilistico operato dalla band e preferì tirarsi da parte). Per il resto la line up è invariata e vede sempre i soliti faccioni di Ian & Co. a martellare gli strumenti. I suoni sono settati per rendere maggiormente appetibile la proposta: viene conferito un ragguardevole risalto agli alti sia sui comparti ritmici che ai refrain più melodici. Se compariamo questo lavoro a State of Euphoria piuttosto che ad Among The Diving, di certo non possiamo parlare né di un passo avanti nelle fasi di composizione, né di una regressione stilistica, bensì di unicità solamente, che piaccia o meno. Questa scelta si sposa bene alla selezione di un songwriting che lascia quindi trapelare in molte occasioni qualche richiamo più speed, senza volere però cercare irraggiungibili imitazioni alla Spreading The Disease (1985), e che distribuisce maggior linearità a livello di ritmica pur non rinunciando mai ad appesantire di tecnico thrash core la maggior parte degli arrangiamenti.
Un album che rende inoltre omaggio ai pregressi discografici della band, quasi un “tributo” compositivo. Alcune canzoni marcano più un album rispetto ad altri, però il filo conduttore sembra attingere potenza prevalentemente da Among The Living. Per dirla in due parole immaginate il mosh sound così perfetto e quasi indescrivibile del masterpiece datato 1986 e donategli più linearità ovvero maggiore melodia ed andrete concettualmente vicini a ciò che è contenuto in Persistence of Time. Ingredienti classici sparsi qui e là, dal mosh estremo di Time al bay area melodico di Keep It in The Family, fino al core più dismesso e grigio di Gridlock o One Man Stands, molto vicine alle gemme di State of Euphoria. C’è un capolavoro come Belly of The Beast, che a tutti gli effetti si configura come la sintesi espressiva e compositiva peculiare del disco. Ad onor di cronaca si omaggi anche il distinto feedback storico attribuito della critica a Got The Time, cover di Joe Jackson e qui iniettata di potenza pura e resa viva da un’anima rock ecletticamente brillante.
Persistence of Time è l’immutabilità che ferma il tempo. Collante dei mattoni storici del loro unico, profondo e ruvido thrash; un disco che cementifica, fissando nel tempo, la storia di questa band immortale.
– nik76 –
Tracklist:
01. Time
02. Blood
03. Keep It In The Family
04. In My World
05. Gridlock
06. Intro to Reality
07. Belly of The Beast
08. Got The Time
09. H8 Red
10. One Man Stands
11. Discharge
Line Up:
Joey Belladonna: Vocals
Scott Ian: Guitars, vocals
Charlie Benante: Drums
Dan Spitz: Guitars
Frank Bello: Bass