Recensione: Persona non Grata

Di Stefano Usardi - 18 Novembre 2021 - 10:00
Persona Non Grata
Band: Exodus
Etichetta: Nuclear Blast
Genere: Thrash 
Anno: 2021
Nazione:
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78

In ambito metal, gli Exodus non necessitano di presentazioni: questi strenui rappresentanti del thrash metal a stelle e strisce più iracondo e graffiante arrivano oggi ad un nuovo traguardo con la pubblicazione di “Persona Non Grata” (espressione latina utilizzata nel linguaggio diplomatico per indicare una persona non gradita), che arriva a sette anni di distanza da “Blood In, Blood Out”. Dodici tracce per un’ora di musica, durante la quale il quintetto fa ciò che sa fare meglio e dispensa la solita dose di martellate maligne ed abrasive, condendo il tutto con un comparto tematico che fa del disgusto per la società moderna ed il suo degrado (acuito, qualora ce ne fosse stato bisogno, da quanto successo negli ultimi due anni) un vero e proprio leitmotiv. Certo, non è tutto oro ciò che luccica, ma ci arriveremo fra un attimo. Dal punto di vista musicale i nostri portano avanti il proprio discorso fatto di thrash metal della vecchia scuola, ma si divertono a profumare le tracce con qualche sorpresina per ampliare il proprio spettro aromatico. All’interno di “Persona Non Grata”, infatti, c’è posto per un po’ di tutto: da fucilate brevi e tiratissime a brani corposi venati di pathos, affiancati da qualche mazzata più arcigna e pezzi maggiormente indirizzati alla creazione di groove, in un girotondo sonoro che ha nel gran lavoro di Holt e Hunting i suoi punti luce più rappresentativi. Una varietà interna che, al netto di qualche lungaggine qua e là, contribuisce a togliere punti di riferimento all’ascoltatore mantenendolo quasi sempre sul chi vive. Tutto si può dire di “Persona Non Grata” tranne che non sia un lavoro immediatamente impattante.

Si parte subito cattivi con la title track, guidata da un riff funambolico e una batteria bellicosa che sostengono l’entrata in scena di Steve “Zetro” Souza. E qui devo aprire una parentesi: so che sto per attirarmi qualche maledizione, ma ritengo la prova dietro al microfono il vero punto dolente di questo lavoro. Ebbene sì: sebbene il vocione raschiante di Souza sia un elemento cardine e per certi versi imprescindibile della miscela sonora degli Exodus, stavolta proprio non mi ha convinto, forse per una resa troppo gracchiante o per alcune linee vocali che mi sono sembrate avulse dalla parte strumentale, lasciandomi con più di una perplessità. Ok, parentesi chiusa.

Come dicevo, la title track avanza con la minacciosità delle grandi occasioni, giocando con una struttura multiforme capace di passare da frustate secche e violente a fraseggi più incombenti, andando ad impantanarsi solo nel rallentamento prima dell’ultima strofa e del turbinante finale. “R.E.M.F.”, un pezzo dinoccolato in cui i nostri insistono su ritmi agili ma al tempo stesso martellanti, è un buon brano anche se troppo monodirezionale, utile per tener saldamente la rotta, mentre con la successiva “Slipping into Madness”, con i suoi cori cafoni che riecheggiano la rabbia naif  e sopra le righe da cui il thrash metal si è originato, i nostri si divertono a sfornare un riff portante sinuoso e affascinante. C’è anche spazio per un solo dal profumo melodico giusto prima di ributtarsi a capofitto nel mondo dei riff e cedere la parola a “Elitist”. Qui l’incedere scandito e strafottente del pezzo viene a mio avviso rovinato da un ritornello non all’altezza che ne spezza il tiro; non male invece l’intermezzo strumentale dalla breve fiammata epica che apre l’ultimo quarto. Un arpeggio minaccioso apre “Prescribing Horror”, dal profumo quasi doom, plumbeo e desolato, in cui purtroppo non tutto funziona come dovrebbe: lo sfasamento voce/strumenti di cui parlavo prima smorza, forse qui più che altrove, l’altrimenti bella tensione del brano. Peccato, ma per fortuna i nostri si rimettono in carreggiata con la frenetica “The Beating Will Continue (Until Morale Improves)”: tre minuti di frustate sporche e impietose, intervallate da un assolo che profuma di rock sotto steroidi e pone il sigillo su un brano da pollice alto. Si abbassano i toni, almeno in apparenza, per “The Years of Death and Dying” che, lo ammetto, mi ha spiazzato. Il brano si declina su ritmi quadrati e acidi come una sorta di “Seek & Destroy” incarognita, ma a mio avviso rovina tutto aprendosi in un ritornello dal vago retrogusto melodeath, fin troppo moscio, che ne mina in modo determinante il tono complessivo. “Clickbait”, un altro pezzo che di certo avrete macinato parecchio, parte invece sotto i migliori propositi col suo fare guerrafondaio e mantiene le promesse grazie a uno sviluppo parimenti rissoso e martellante che si alleggerisce solo nel ritornello. “Cosa del Pantano”, che sicuramente ha attirato la curiosità e i mezzi sorrisi di alcuni fan italiani, è un intermezzo dal profumo vagamente southern, sornione e fangoso, che apre la strada alla successiva “Lunatic Liar Lord” la quale, dall’alto dei suoi otto minuti, si prende il suo bel tempo per fare tutto ciò che le pare. I nostri passano da ritmi contenuti e saltellanti a minacciosi rallentamenti senza dimenticare qualche improvvisa sfuriata, e coronano il tutto con una buona sezione strumentale in cui si mescolano le carte affiancando una ricerca di groove ad altri elementi più veterotestamentari. Si passa ora a “Fires of Division”, in cui a riff frenetici si alternano brevi ispessimenti a sostenere il ritornello e un assolo dal retrogusto quasi esotico, per chiudere poi con una cavalcata strumentale in cui si mescolano trionfalismo e cattiveria. Siamo alle battute finali, e un arpeggio in odor di blues introduce “Antiseed”: il pezzo si districa su ritmi frastagliati e maligni, dispensando le ultime mazzate senza rinunciare al suo profumo meno convenzionale che continua a farsi sentire sotto la superficie. Il climax che apre l’ultimo quarto impenna il tasso di frenesia del pezzo, che pone il sigillo su un album sì ghiotto ma anche fatto di luci e ombre, in cui pezzi buoni ed altri molto buoni si trovano affiancati a episodi a mio avviso fuori focus, oltre al già citato problema vocale che (ma questo è un limite tutto mio) mi ha impedito di apprezzare appieno questo lavoro. “Persona Non Grata” resta comunque un album di tutto rispetto, abrasivo e passionale, e un buon tassello per la discografia di un gruppo che, bene o male, dispensa mazzate da quarant’anni.

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