Recensione: Personal Identity
La Repubblica Ceca è un bel posto per il grind. E non lo dico solo per iniziare la recensione in modo particolare, ma perché negli anni questo stato è diventato una piccola nicchia felice nel già prolifico e premiato Est, in grado di rivaleggiare probabilmente solo con la più famosa Polonia. Sarà l’eco della fama, ormai mondiale, raggiunta dall‘Obscene Extreme Festival? Sarà generica incazzatura verso tutto e verso tutti, oppure qualcosa nell’acquedotto? Io non lo so. Fatto sta che questo paese ha dato i natali a realtà importanti di fama internazionale come Jig-Ai, Negligent Collateral Collapse, Spasm, Eardelete, Ahumado Granujo e via dicendo; nomi che solo a parlarne fanno rispolverare ricordi di blastate di batteria e rantoli inumani di voce fogna, ormai vero e proprio trademark del grind di quelle parti.
Gli Psychotic Despair sono sorti da questo calderone con l’intenzione, almeno sulla carta, di entrare a pieno titolo nella schiera sopra elencata, cercando comunque di arricchire il proprio sound con elementi non proprio tipici di questo genere. Ma partiamo ad analizzare la parte classica: la base su cui si erge il suono degli Psychotic Despair è il grindcore, e fin qui ci siamo. Il fatto poi che il gruppo, in origine, si chiamasse Ass Grinder e che alla chitarra e alla batteria ci siano rispettivamente niente meno che Brain e Štefy, eroi pluridecorati sul campo con i grandi Jig-Ai, dovrebbe aver già schiarito le idee agli appassionati del settore. Personal Identity può quindi vantare in partenza un chitarrista esperto del genere e un batterista devastante, non di certo a livello di fantasia e di peripezie strumentali assurde, ma per esecuzione, impatto e velocità. Copertina, caratteri e titoli comunque vi avranno già fatto intuire che le splatterose intenzioni di questi ragazzi si siano con il tempo mitigate fino ad abbracciare un’immagine più orientata verso il grindcore classico, ideologicamente affine a una versione futuristica dei Napalm Death e Brutal Truth e con tematiche legate ai problemi della società odierna.
Invece un’anomalia che possiamo riscontrare è l’ingresso in formazione del nostro Adriano Neri, ex bassista degli Another Day (dai quali sono poi nati i più famosi Klimt 1918) e portatore di un bagaglio tecnico di tutto rispetto, certamente atipico per un gruppo di questo tipo. Una qualità che, nel disco, ha modo di utilizzare abbondantemente grazie alle composizioni, in cui ha un discreto spazio di manovra, e a una produzione di tutto rispetto, abbastanza pulita da far ascoltare chiaramente le linee di basso in qualunque frangente, anche nei momenti più caotici. Ed è proprio nel caos, quando la velocità si fa elevata, che gli Psychotic Despair danno il loro meglio. L’opener Grinded Mind, Accidental Autoerotic Death e Dead End sono infatti delle sonore legnate (o legnate sonore) di grindcore senza troppi fronzoli, dotate di grande impatto e strutturate secondo tutti i crismi del genere, arricchite dai passaggi ricercati di Adriano perfettamente integrati nella furia sonora. Le cose cambiano invece in tracce atipiche e orientate al groove come Tool Of A Generation o Painful Suffering, pesantemente influenzate dal death metal quando va bene e dal deathcore di stampo americano quando va meno bene, dove i cinque non riescono a colpire con la giusta incisività e i minuti volano via senza lasciare traccia. Le numerose altre influenze, che arrivano addirittura a toccare il metalcore e abbracciano tutto l’album, soffrono tutte più o meno dello stesso problema. Anche Lubos, il cantate, nonostante vanti una prestazione assolutamente efficace e varia, coprendo un ampio spettro di soluzioni tra il growl ipergutturale monosillabico fino allo screaming, passando per grugniti mid-range di vario tipo, sembra più a suo agio quando si tratta di accompagnare una classica sfuriata di blast beats piuttosto che una sezione cadenzata. Stupiscono invece in positivo quelle che, a mio avviso, sono le vere highlights del disco: Fear and Traumatism, per il gusto melodico singolare e il grande riff centrale di basso, e Finger On The Trigger, dove ai rallentamenti e le parti da headbanging sono coese in maniera più naturale e ispirata e fanno intuire le potenzialità e l’esperienza della formazione.
Per concludere, Personal Identity è un bel disco, godibile e divertente, anche se mi ha lasciato la sensazione di avere una grande mole di idee ancora da definire e da indirizzare su un percorso coerente. L’unire diverse influenze derivate dal death e dal metal moderno in generale aumentando lo spessore della proposta è senz’altro un’iniziativa lodevole, anche se purtroppo il risultato è stato quello di non riuscire ad andare concretamente a segno. Ma le capacità, come detto, ci sono, quindi non resta che aspettare la prossima uscita e vedere se il tempo riuscirà a portare consiglio.
Michele “Panzerfaust” Carli
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Tracklist:
1. Grinded Mind (1:51)
2. Fear And Traumatism (1:49)
3. (Go) Realistic Portrait Of Mankind (3:35)
4. Personal Identity (2:55)
5. Painful Suffering (2:12)
6. Tool Of A Generation (2:36)
7. Accidental Autoerobic Death (2:52)
8. Finger Of The Trigger (2:57)
9. Deep Illusion (2:47)
10. Dead End (2:33)
11. Memories (2:28)
12. Cruel (2:11)
13. Liquefied (2:38)
14. Miss Psycho (1:47)
15. Outro (1:51)