Recensione: Phantasmagoria
A tre anni da “Legacy Of Evil”, torna all’attacco il black metal sinfonico dei Limbonic Art.
O meglio, «del» Limbonic Art.
Morfeus, dopo l’uscita del platter di cui sopra, ha difatti abbandonato Daemon, lasciandogli carta bianca dall’ideazione della prima nota di “Phantasmagoria” – il nuovo lavoro – sino alla decisione sull’ultimo colpo di pennello dell’artwork.
Unico artigiano a forgiare la composizione delle musiche, Jensen riporta lo stile alla natura primigenia dello stesso; cioè il black più furioso intriso sino alle ossa da sinfonie di wagneriana memoria. Rinunciando pertanto alle sperimentazioni messe in opera sino al 2003, anno che segnò, dopo il parto di “The Ultimate Death Worship” (2002), lo split del duo. Già il predetto “Legacy Of Evil”, realizzato in seguito alla reunion dello 06/06/06, aveva deluso le attese di chi pretendeva qualcosa in più, rispetto al minestrone primordiale. Con quest’ultimo CD, pare che la direzione intrapresa dal Nostro prosegua sulla scia di quella che può ben definirsi come un’«operazione nostalgia». Dato atto di ciò non si può non rilevare – di conseguenza – un’involuzione e (ri)appiattimento del suono. I Limbonic Art non sono mai stati un esempio di sound chiaro ed esplosivo, e tantomeno lo sono adesso. La chitarra ritmica non è molto presente, ingarbugliata nella sua timbrica «zanzarosa» (“Flight Of The Minds Eye”); la batteria risente parecchio dell’artificiosità della sua natura non-umana, particolarmente durante i blast-beats (“Portal To The Unknown”); il basso spesso si limita a reiterare i riff cui dovrebbe fare da sostegno in modo più robusto. Un sound che manca di quel quid per diventare dirompente come, a mio modo di vedere, dovrebbe essere quello del black metal odierno. E, ma questa non è certo una novità, un po’ caotico, abbastanza stancante e poco profondo. Tinte che, in fondo, materializzano i limiti principali delle one-man band: anche il ragionamento più semplice porta a concludere che – esclusi particolari sotto-generi (depressive, ambient) –, una proposta articolata come quella di Daemon sarebbe un osso durissimo da rodere per chiunque. Rilevato tuttavia che lo stesso Jensen non è più un ragazzino e che all’indubbio talento artistico unisce grande esperienza e tecnica più che adeguata, si può evincere che il groove del full-lentgh sia, anche, voluto e cercato.
La sostanziale riproposizione di stilemi di cui si è fatto uso in abbondanza, di conseguenza scevri da contenuti originali e innovativi, conduce a concentrarsi esclusivamente sulle canzoni per trovare motivi d’interesse. Sebbene il gigantesco taglio sinfonico sia il padrone di casa, in “Phantasmagoria”, le melodie non sono per nulla facili né tantomeno accattivanti (escluso qualche raro episodio come “Prophetic Dreams”). Anzi. La loro assimilazione è lenta, difficile e tribolata; a dispetto di un mood, tagliato da scaglie di nebbia ghiacciata cui sono stati disciolti sapori arcani e scuri, percepibile istantaneamente e rapidamente riconducibile a quello, unico, del musicista norvegese (“Curse Of The Necromancer”). Non aiuta peraltro una certa uniformità compositiva dei brani, che li rende poco singolari nella visione complessiva dell’opera: la ridondante ripetitività di schemi precostituiti (“Prologue/Phantasmagoria”, “Astral Projection”) avvolge il tutto come un macabro sudario; vanificando in qualche modo lo sforzo compiuto nella fase del songwriting. Sforzo che non deve essere stato trascurabile se si analizza con pazienza ogni singolo pezzo, ciascuno così zeppo di note quasi da stordire (“A Black Sphere Of Serenity”). Se poi si aggiungono le monotone linee vocali, la pietanza cotta dall’Uomo di Sandefjord diventa un boccone dalla grandezza esagerata per i palati dei comuni mortali.
Rilevata infine la durata dell’album (un’ora e dieci minuti), l’epilogo della storia si può riassumere come segue.
I fans più fedeli al progetto di Daemon troveranno sicuramente pane per i loro denti. Gli altri, presumibilmente, si annoieranno in fretta; non avendo voglia di percorrere nuovamente strade calpestate in abbondanza sia negli anni novanta sia nel terzo millennio.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Prologue/Phantasmagoria 5:03
2. Crypt Of Bereavement 5:53
3. Curse Of The Necromancer 6:22
4. Portal To The Unknown 4:23
5. Dark Winds 5:41
6. A World In Pandemonium 6:43
7. Flight Of The Minds Eye 3:49
8. Apocalyptic Manifestation 4:02
9. Prophetic Dreams 5:41
10. The Burning Vortex 6:55
11. A Black Sphere Of Serenity 8:24
12. Astral Projection 8:14
Line-up:
Vidar “Daemon” Jensen – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Electronics, Drum Programming