Recensione: Phantom 5
Se poteste scegliere, chi iscrivereste nella lineup del vostro nuovo super-gruppo teutonico di hard rock melodico? Come chitarrista io contatterei Robby Boebel dei Frontline e poi lo affiancherei ad una sezione ritmica di prim’ordine. Per esempio proverei a coinvolgere Francis Buchholz già colonna portante e bassista degli Scorpions e poi magari chiederei ad Axel Kruse dei Jaded Heart di sedere dietro la batteria. Questa è la stessa idea che hanno avuto Claus Lessmann, già voce nei Bonfire, e Michael Voss chitarrista e produttore che ha già lavorato con nomi del calibro di Michael Schenker. Infatti è così che sono nati i Supremacy. Se vi sentite confusi, beh… è normale. L’etichetta Frontiers Music ha annunciato recentemente che il nome del gruppo è stato cambiato in Phantom 5 per ragioni sostanzialmente legali. Onestamente questo nuovo monicker piace meno (c’è persino uno smartphone cinese che si chiama proprio così) ma… ehi, non si può giudicare un vino dall’etichetta… e nemmeno una super-band, quindi andiamo subito a verificare se le altissime aspettative che ci siamo formati fin qui, su questo primo lavoro in studio, sono state rispettate.
Il gravoso compito di opener tocca a “All The Way” un brano piuttosto roccioso e lineare in cui più di tutto colpiscono l’interpretazione graffiante dietro al microfono e il sound delle chitarre. Fin troppo old-style, soprattutto nell’impianto melodico, la successiva “Blue Dog” che non riesce a lasciare il segno nonostante una struttura per nulla scontata e l’ottimo lavoro dei chitarristi. Più convincente e tutta da cantare è “Someday” in cui i nostri scaldano i motori con un brano ottimamente confezionato e dal ritmo tormentato. Ma è con l’ispirata “Don’t Touch The Night” che si inizia fare sul serio. Mood intrigante, cambi di ritmo, sound aggressivo, assolo fulminante e un bel ritornello ci mostrano tutto il repertorio della band in poco più di tre minuti. Di nuovo reminiscenze del passato nel ritornello di “Renegade”, che sembra uscito da un album dei Def Leppard degli anni d’oro. Interessante il contrasto con i suoni di chitarra molto moderni apprezzabili per lo più nella lunga partitura solista. Di tutt’altra pasta e molto più trascinante la successiva “Flying High”, che mostra tutta la classe di questo combo attraverso un groove graffiante, ma con ampie concessioni alla melodia e per di più arricchito da svariati preziosismi individuali dei chitarristi. Il momento della ballad arriva con “Since You’re Gone” che rappresenta un po’ un tiro in mezzo tra il classico lentone e un brano invece più andante. Non male il risultato finale con questa atmosfera un po’ sospesa e alleggerita dalla straripante melodia intessuta dalle parti di chitarra e di voce. Ruggiscono la loro cattiveria i Phantom 5 in “They Won’t Come Back”. Niente di estremo e ritornello orecchiabilissimo con svariati chitarroni che fanno capolino qua e là, in un pezzo distinguibile per gusto e mestiere. Più aggressiva “Frontline” dove I nostri sacrificano un po’ di melodia per aggiungere cattiveria e groove alla loro proposta. Di nuovo cantabilissimo il ritornello e impeccabile il lavoro incrociato delle chitarre. Identico discorso, ma brano completamente diverso per “We Both Had Our Time” che potrebbe essere una diversa interpretazione degli stilemi mostrati nella traccia precedente, ma con un finale più d’effetto. La conclusione del disco arriva con la lunga “Why” che con un crescendo coinvolgente ci porta ad un ritornello da gridare a squarciagola e al bel solo dal sound a dir poco spettacolare.
In definitiva questo è un album in cui su tutto spicca la produzione ottima in ogni frangente e il mestiere dei musicisti. La prima sembra a volte un po’ troppo old-style, mentre il secondo non viene mai meno, togliendo però un po’ di spontaneità ad un lavoro che talvolta risulta troppo “sintetico” per il genere di appartenenza. Qui mancano un po’ quella zampata e quella grinta che ci si aspetterebbe da personaggi di questo livello. E qui veniamo al nodo cruciale della questione: le aspettative. “Phantom 5″ è ottimamente suonato, composto con maestria e suonato ancora meglio, inoltre è un album già estremamente maturo per essere un debutto discografico ma… già, MA… Il gruppo è composto da calibri che hanno alle spalle un’esperienza di molti anni e molti dischi e che avrebbero dovuto lasciare maggiormente il segno e sapersi esprimere con molta più originalità. Se fosse stato inciso da una giovane band staremmo già quasi gridando al miracolo, invece questo lavoro sa un po’ di compitino o, a voler pensare male, di manovra commerciale. Peccato, perché di idee e soluzioni interessanti ce ne sono parecchie. Personalmente mi sentirei di consigliare l’acquisto solo ai più fedeli e irriducibili appassionati del genere. Per tutti gli altri sarebbe meglio aspettare l’uscita della prossima fatica in studio per vedere se questa super-band soddisferà finalmente tutte le promesse… E le aspettative.