Recensione: Pharmakon
“Italia” e “prog metal” è un binomio che negli ultimi anni pare offrirsi con sempre maggiore frequenza come sinonimo di qualità. Ne rappresentano un’ulteriore prova i Quintessenza, ancora (inspiegabilmente) senza label ma infine giunti al debutto dopo otto anni di gavetta. Per presentare il frutto dei propri sforzi hanno scelto un titolo di origine ellenica, Pharmakon. E’ questo un termine denso di significati col quale gli antichi Danai solevano indicare, in senso lato, la “cura” e il “rimedio” ovvero, con accezione negativa, un “filtro magico” o un “veleno”. E proprio sul rapporto tra estremi opposti gioca l’album: ne è ulteriore prova l’eloquente cover, divisa tra colori ed emisferi opposti che si compenetrano a vicenda, in un tao insolito e suggestivo.
Inizia la musica, e senza indugi le liriche sferrano un poderoso calcio alla banalità, articolandosi in una rapida sequenza di brani uniti tra loro da sottile filo concettuale. Banditi i ritornelli, al bravo singer Diego Ribecchino non resta che avventurarsi tra linee melodiche intrepide e continuamente cangianti. Non è facile muoversi con disinvoltura in un oceano di testi che non offre punti fissi, ma Diego riesce ad assolvere al proprio compito con disinvoltura; non da meno il resto della band, che imbastisce una fitta trama di intricati sentieri ritmico-melodici finemente intrecciati tra loro. Colpisce tra gli altri il lavoro dietro le pelli di Alessandro Santoni, affiancato dal basso agile e profondo di Federico Razzi: la rete ritmica lanciata già nell’opener L’Occhio è abile nel catturare rapidamente l’attenzione e a trattenerla senza sforzo per tre minuti o poco meno.
In perpetua evoluzione le chitarre di Gabriele Moretti, mai troppo invadenti e sempre affidabili, estrose nei passaggi centrali dell’involuta Metamorfosi, solide e decise in quella galleria di stili dal titolo Attraverso Me. Capita talora di riconoscere l’ascendente di un giovane John Petrucci in certe strutture ed evoluzioni, tanto nei riff quanto, su larga scala, nelle composizioni. Così per esempio nella dreamtheateriana Armonia, non priva del resto di intressanti stacchi jazzistici nei quali emergono con sicurezza ora il piano ora le tastiere puntuali e discrete dell’estroso Filippo Fantozzi. Felice la sua scelta dei suoni, che non disdegnano neppure qualche divagazione elettronica, integrata con lodevole buon gusto alla restante compagine di influenze.
C’è spazio anche per un pregevole duetto nella ballad La Cosa Perfetta, cui prende parte la brava Veronica Fiorini. Roboante la coda del brano che spezza le suadenti melodie pianistiche appoggiandosi a una multiforme struttura ritmica di eccezionale solidità. Unico appunto per la lunga sezione di parlato, che avrebbe potuto essere più espressiva e, soprattutto, meno dilatata.
Se una critica può essere portata a questo disco, è circa la sua brevità. Sono solo poco più di una trentina i minuti di evoluzioni offerti dal combo italico, e se una trentina d’anni fa una siffatta durata sarebbe stata conforme alla norma, oggi risulta un po’ al di sotto delle aspettative. Certo è che siamo di fronte a trentatre primi composti e suonati egregiamente, estranei a inutili riempitivi, certo non immediati ma necessitanti una molteplicità di ascolti per poter essere interamente compresi e apprezzati. Non resta dunque che augurare alla band che qualche etichetta dalla vista più acuta di altre riconosca le indubbie doti dei Quintessenza, in vista di un futuro ritorno sulle scene che avrà l’arduo compito di confermare le buone impressioni suscitate da questo debut, iniziando a costruire qualcosa di importante sulle solide fondamenta gettate da Pharmakon.
Tracklist
1. L’occhio (2:45)
2. Armonia (5:44)
3. Metamorfosi (5:40)
4. Oro (5:32)
5. Il Battesimo (2:05)
6. La Cosa Perfetta (6:03)
7. Attraverso Me (5:38)