Recensione: Phenomenon

Di Abbadon - 16 Luglio 2003 - 0:00
Phenomenon
Band: UFO
Etichetta:
Genere:
Anno: 1974
Nazione:
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95

Band strana e molto sfortunata gli UFO, almeno agli inizi. Nati nel 1971 in Inghilterra, sull’onda di clamoroso successo che stava avendo il rock e sulla scia di band antecedenti quali Cream, Led Zeppelin e compagnia, il gruppo composto dal bassista Pete Way, dal cantante Phil Mogg e dal batterista Andy Parker non aveva però sfondato come le altre band dell’epoca, rimanendo nell’ombra e paradossalmente vendendo e venendo apprezzato di più all’estero che nella sua patria. Almeno fino al 1974, l’anno della svolta. Succede infatti che il chitarrista della band, il talentuoso Mick Bolton, molla, deluso dagli scarsi risultati, venendo rimpiazzato dal grande Michael Schenker, da poco uscito dagli Scorpions. L’estro compositivo e l’eccellenza musicale del chitarrista rivitalizzarono una band che sembrava praticamente alla frutta, e lo stesso anno esce sul mercato il primo disco della nuova Line-Up, ovvero “Phenomenon”. L’album, seppur forse ancora non coi risultati che ci si aspettava, segna la svolta nella storia della band , ed è ben venduto anche nel Regno Unito, che pian piano inizia ad aprezzare questo sua nuova creatura. Questo terzo disco del combo britannico si presenta con un hard rock che fonde molto ma molto bene una qual certa decisione con delle trame melodiche davvero di gran livello. Il sonoro è davvero ben curato, soprattutto nei tratti più delicati (a livello sonoro) della composizione, ovvero quelli lenti, che in certi casi lasciano esterrefatto e sognante l’ascoltatore. Il mix sonoro degli strumenti è equilibrato, e notiamo fin dalle prime battute la chitarra elettrica di un come detto ispiratissimo Schenker, che mostra davvero di che pasta è fatto e che letteralmente trascina tutti i suoi compagni all’arrembaggio. A spalleggiare Michael in questa festa musicale troviamo sicuramente un eccellente Pete Way, col suo basso mai prorompente, ma che non si può far a meno di notare, in
quanto ben accentuato e, sopratutto, impeccabile nelle sue esecuzioni. Per chiudere la prestazione del quartetto si può dire che è solo discreta la batteria di Parker, mentre Phil Mogg ci da del suo dietro al microfono, con una voce non pulitissima, ma senza nemmeno tanti fronzoli, e che risulta in
sostanza molto intonata, piacevole ed esente da critiche, per quanto non lo reputi un cantante perfetto (ma nemmeno un brocco, diciamo un più che buon interprete). Il disco, che vede ovviamente come artwork un tema legato agli alieni (la navetta che si vede nel cielo di un tranquillo paesello), è composto da 10 canzoni, decisamente riconoscibili fra di loro, ed ognunca forte di un carisma e di un fascino tutto suo.
Si inizia subito con uno dei miei pezzi preferiti dell’album, ovvero con l’eccellente “Too Young to No”. Fin dall’attacco di Schenker si capisce subito che ci troviamo dinanzi ad un pezzo decisamente ritmato, un mid tempo forte di una sonorità decisa ma pulitissima, impreziosita dai giochi chitarristici del guitarist tedesco. Ottimo il cantato di Mogg, nonchè la originale composizione, assolo e riff di lead guitar inclusi. Sopra la media anche la batteria, nell’ultimo tratto del pezzo. Da “Too young to No”
passiamo all’altrettanto affascinante “Crystal Light”, traccia abbastanza lenta che inizia su uno splendido e poetico arpeggio, che viene mano a mano accompagnato da tutti gli altri strumenti. Un pezzo davvero dolce, con delle backing vocals insolite ma efficaci che introducono ad un refrain stupendo,
dove tutta la carica romantica presente tra le note si amplifica a dismisura. Cambiano decisamente le cose con la terza traccia, traccia che non ha assolutamente bisogno di presentazioni, e perchè è uno dei pezzi più famosi della band, e perchè è stato oggetto di una cover che ancora oggi accompagna nientemeno che gli Iron Maiden. Ovviamente sto parlando di “Doctor Doctor”, uno dei capolavori assoluti di Way e soci. Qui si raggiunge la sublimazione dell’hard rock veloce made by UFO. Tutti gli strumenti sono su standard altissimi, il ritmo non è tiratissimo ma i riff sono davvero prorompenti, una vera mareggiata musicale. E dire che all’inizio sembrerebbe l’ennesimo pezzo lento, bellissimo comunque tra l’altro. La melodia di piano iniziale, accompagnata dalla chitarra, è quasi commovente, e si protrae per circa un minuto, poi l’esplosione, prima con l’attesa (quasi un sipario che si alza piano piano), e poi il boom, col già citato riff, uno dei più coinvolgenti che mi sia capitato di sentire. Ottimo l’assolo, ottimo il gioco di tastiere sullo sfondo, Doctor Doctor si conferma song che uno a cui piace la musica deve ascoltare perlomeno una volta. Finito questo gioiello arriviamo a una delle track più curiose e particolari di tutta questa produzione, ovvero “Space Child”, lenta e non facilissima da seguire, che ricorda abbastanza il rock del passato della band, più “space” e da oblio. Molto belli i giochi di chitarra, che culminano in un assolo lungo e decisamente sopra la media. Forse il livello qualitativo è più basso dei precedenti brani proprio in virtù di questa difficoltà di ascolto, non praticabile dai più freschi del genere, ma rimane comunque una bellissima canzone, come lo è quella che segue Space Child, ovvero la famosa (non come Doctor Doctor ma quasi) “Rock Bottom”. Decisamente Hard, sia in generale, sia soprattutto per quanto riguarda l’impostazione di questo Phenomenon, Rock Bottom si basa su un riff decisamente secco e avvolgente, che coinvolge sia il basso e la chitarra in un duo che non lascia scampo. Phil è ispirato, così come i suoi compagni, e ci porta in una cavalcata di oltre 6 minuti, che alla fine lascia davvero senza fiato. Per chi ha la audiocasseta è tempo di girare il lato, così da arrivare a sentire la prima song del lato B, intitolata “Oh My”. Pur con un certo fastidio, mi tocca dire che Oh My non è al livello delle altre canzoni, non tanto per il suonato e le ritmiche, che sono decisamente buone, quanto per la voce, che non mi sembra molto convinta, se non quando supportata dalle backing vocals nel refrain. Canzone comunque tutto tranne che da scartare, e da ascoltare in tutta tranquillità in preparazione alla bella “Time on My Hands”, che si presenta con un magnetico arpeggio iniziale, sul quale viene ricamata gran parte della song. In seguito la track diventa un buon mid-tempo tendente al lento, dalle melodie avvolgenti, a volte un minimo ripetitive, ma che culminano in un assolo lungo e speciale. Decisamente catchy e “piena” è invece “Built for Comfort”, suonata lenta ma in modo potente, con un ritmo scandito in maniera chiara, netta. A dire il vero, nonostante la sua particolarità, Built non è esattamente, secondo me, una gran canzone, ed è quella che forse in qualche maniera, abbassa maggiormente la media del disco, quindi meglio passare a descrivere la prima song scritta interamente da Schenker per gli UFO, ovvero la grande “Lipstick Traces”. Estremamente melodica e allora stesso tempo rock, questa strumentale esprime in pieno la vena romantica di Michael, il suo lato più “pulito” e meno pirotecnico, cosa che viene palesemente evidenziata e trasudata nota dopo nota. Un piccolo gioiello, anche se lungo poco più di due minuti. Siamo già alla fine dell’album, che si chiude altrettanto bene come era iniziato, con la lunga e suadente “Queen of the Deep”, che esprime al meglio la profondità della voce di Mogg, ottimamente accompagnato dai suoi compagni. Partenza “in sordina”, ma molto carismatica,  poi le sonorità diventano decisamente hard-rock, senza per questo perdere la ritmica “midtempata” e una vena di malinconia. Da segnalare un grande Pete Way.

Siamo alla fine, al mio classico “bigino” della pappardella. Beh che dire…. il valore di questo disco è fuori discussione, in quanto se non fosse per esso
probabilmente gli UFO avrebbero chiuso molto anzitempo la loro straordinaria carriera (che invece dura tutt’ora). Non è un album perfetto, perchè ci sono dei difetti sparsi qua e là, ma per il resto ci troviamo davanti a un’opera stupefacente, che rende piena giustizia a quella che è stata una delle band più ignorate e sottovalutate nel suo campo. Da avere.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Too Young to No
2) Crystal Light
3) Doctor Doctor
4) Space Child
5) Rock Bottom
6) Oh My
7) Time on my hands
8) Built for Comfort
9) Lipstick Traces
10) Queen of the deep

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