Recensione: Ersetu

Di Daniele D'Adamo - 15 Maggio 2020 - 0:01
Ersetu
Band: Devangelic
Etichetta: Willowtip Records
Genere: Death 
Anno: 2020
Nazione:
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78

A tre anni da “Phlegethon”, tornano i Devangelic con un’altra brutale creatura, “Ersetu”. La terza partorita nel corso di una carriera che dura ormai otto anni.

I romani, infatti, scaricano a terra furibonde bordate di brutal death metal. Senza compromessi, senza contaminazioni, senza tentennamenti di sorta. Un malloppo mostruoso, sanguinolento, che materializza una forma musicale coesa e compatta, granitica. Lo stile, ragionando su quanto più su scritto, si può considerare puro, come fosse il distillato di lustri e lustri di bollitura di metal estremo anzi estremissimo.

“Ersetu” non ha alcuna pietà. Sorretto da un sound devastante, non concede nemmeno un attimo di tregua nel suo incedere potente e possente. Un’avanzata che non può essere fermata da niente e nessuno, talmente è massiccio l’impatto che sfonda le ossa a chi ascolta. Una specie di carro armato inarrestabile che, durante le sue scorribande distruttive, spara bordate di metallo oltranzista a destra e a manca. I maestri del (sotto?)genere sono indubbiamente gli americani, ma occorre dire, senza alcun rigurgito nazionalista, che il combo italiano non ha niente da invidiare a chicchessia. Benché il brutal, ai neofiti, possa apparire come un semplice rigurgito di suoni e rumori, in realtà esige, per la migliore riuscita, di una grande tecnica strumentale e, nondimeno, di una non comune abilità nel vocalizzare linee canore che di umano hanno ben poco.

Tant’è che ci si chiede come sia possibile ottenere uno sfascio del genere con una sola chitarra, quella di Mario Di Giambattista, impegnata allo spasmo per cucire riff complicatissimi, continuamente intersecati fra loro a tessere le maglie di un muro di suono invalicabile. Un muro di suono inspessito, irrobustito all’inverosimile dal complesso rombare del basso di Alessio Pacifici e dal drumming da allucinazione di Marco Coghe, che impegna quasi tutto il suo tempo a macinare fiondate su fiondate di blast-beats. Molto bravo anche Paolo Chiti, irreprensibile nel pilotare la sua ugola di ferro arrugginito sia nel più cattivo dei growling, sia nei più profondi degli inhale.

Un gruppo che è davvero… un gruppo, e si percepisce in toto. La densità di musica, intesa come numero di sillabe, note, accordi e battute per unità di tempo, è semplicemente spaventosa. Non capita spesso, come peraltro già accennato, venire a contatto con una band in grado di comprimere la materia musicale sino a valori così esorbitanti di pressione sonora.

Per raggiungere questo immane scopo, i Devangelic sembrano pagare lo scotto di un songwriting un po’ troppo ripetitivo, nel senso che le varie canzoni appaiono uniformate fra loro, prive di guizzi e particolarità sì da renderle ricche di singola personalità. A parere di chi scrive questo approccio, apparentemente debole in ordine alla composizione, è stato appositamente concepito per dare quanto più possibile consistenza e pesantezza al platter. Un modo per renderlo inaccessibile a coloro che non amano per davvero il brutal death metal. Un ascoltatore… normale impazzirebbe dopo solo qualche ascolto ma l’appassionato vero troverà un inestricabile ginepraio nel quale sarà gioia entrare per riempirsi di tagli e ferite profonde. Una specie di prova di maturità per gli appassionati di questa particolare foggia musicale, insomma.

Ecco che allora “Ersetu” può essere interpretato come vero banco di prova di sommo coraggio, il cui superamento è necessario per travalicare la linea di confine fra timido adolescente a risoluto uomo adulto. Una chiave di lettura che rende onore e merito ai Devangelic stessi, assolutamente, definitivamente, meravigliosamente inarrestabili.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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