Recensione: Phoenix Amongst The Ashes

Di Daniele D'Adamo - 1 Agosto 2011 - 0:00
Phoenix Amongst The Ashes
Band: Hate Eternal
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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80

Continua la paziente opera di ricostruzione tecnico/artistica da parte di Erik Rutan, storico leader dell’altrettanto storica formazione che risponde al nome di Hate Eternal. “I, Monarch” (2005), masterpiece del combo statunitense, ha rappresentato, anche, l’inizio di un periodo di buio assoluto per Rutan a causa delle note defezioni e disgrazie ma ora, finalmente – dopo un primo tentativo con il precedente lavoro “Fury & Flames” (2008) – in casa dei nordamericani paiono essere tornate la calma e la serenità. Puntando ancora le sue fiches sul giovane batterista Jade Simonetto il Nostro, con il nuovo acquisto al basso J.J. Hrubovcak, propone una formazione a tre e quindi “Phoenix Amongst The Ashes”, quinto album in carriera, di nuovo con la Metal Blade Records. Label che, evidentemente, non ha perso la sua fiducia in Erik, poiché il full-length è stato oggetto di congrui investimenti: masterizzazione di Alan Douches (Dillinger Escape Plan, Hatebreed, God Forbid, …) nei West West Side Music, registrazione presso i Mana Recording Studios, grafica di Paul Romano (Mastodon, Godflesh, Earth Crisis, …).

Che la calma e la serenità possano essere tornate, fra le pieghe del cervello di Rutan, si evince dalla più evidente caratteristica posseduta da “Phoenix Amongst The Ashes”: la coerenza compositiva. L’album, cioè, è composto da dieci singoli frammenti – le canzoni – dotati ciascuno di una propria identità, tuttavia rinsaldati assieme dalla medesima matrice stilistica. È la foggia che forse mancava nel recente passato. Una foggia che, sicuramente, deriva dall’indubbia classe artistica di Erik, finalmente con la mente sgombra dai fantasmi del passato e pertanto in grado di sviluppare con chiarezza le intense emozioni che ne muovono le idee. Senza farsi soffocare dall’enorme perizia tecnica sia sua, sia dei suoi due compagni d’avventura. Ecco, allora, che gli attuali Hate Eternal sono sempre una devastante macchina da guerra, seppur leggermente meno rapida rispetto all’ipercinetico “Fury & Flames”, azionata dal turbine derivate da un furibondo incrocio fra l’old school, il technical e, soprattutto, la cupa timbrica dissonante che rimanda al volo a Samoth e ai suoi mai abbastanza considerati Zyklon. Forse quest’ultimo aspetto, ora più evidente rispetto a qualche tempo fa, penalizza un po’ il trio di Saint Petersburg, poiché toglie un velo di originalità al suo sound. Tuttavia non si tratta di un peccato capitale se si considera che gli Hate Eternal non hanno mai fatto della melodia il proprio cavallo di battaglia, incanalando cioè le forze in uno stile austero e asciutto come quello dei norvegesi. Anzi, è vero il contrario, per ciò che concerne la tipologia degli accordi, mai facili, mai lineari.

Detto questo, non rimane che passare a “Rebirth”, lento e oscuro intro strumentale fatto apposta per far lievitare la tensione emotiva e preparare chi ascolta al terribile assalto di “The Eternal Ruler”, song sfascia-tutto dal marcissimo e violentissimo riff portante. Un autentico massacro sonoro, sostenuto dal drumming al fulmicotone di Simonetto. La vecchia scuola del death (Dismember, Dissection, …), come più su accennato, impazza, scatenando la sua furia cieca fra gli accidenti musicali tipici della scuola, invece, moderna. Gran pezzo! Con Erik Rutan che, se ce ne fosse ancora bisogno, mostra d’essere un fine solista della sei corde, azzeccando pure una prestazione vocale maligna e gustosamente involuta, fra growling bestiale e screaming da follia. Le ardite scale musicali della chitarra salgono davvero verso la drammatica allucinazione con “Thorns Of Acacia”, spasmodica bordata scatenata dal possente tuono della sezione ritmica. Nei rari momenti in cui il blast-beast non annichilisce tutto, Simonetto dà il la all’headbanging più selvaggio. “Haunting Abound”, più lenta rispetto alle due bombe iniziali, mostra una relativa thrasherizzazione delle rhythm guitar, con riff stoppati e dissonanze che rimandano, seppur velatamente, ai Padri della disarmonia metallica: i Voivod. In questo brano più cadenzato emerge, inoltre, la buona visionarietà della musica degli Hate Eternal. Il Mondo è cupo, tetro, dominato dai Grandi Antichi dei Miti di Cthulhu. La schizofrenica, spaventosa “The Art Of Redemption” mostra peraltro – con le sue ardite arrampicate armoniche – che la bravura tecnica del combo a stelle e strisce non è fine a se stessa, ma serva del songwriting.La title-track: maestoso ed esteso tappeto sonoro per una demolizione completa e a 360°, legata strettamente a “Deathveil” con il filo comune dell’esagerazione sonora e della ricerca quasi ossessiva di accordi desueti. I riff sega-ossa più tipici del thrash ricompaiono con decisione nell’altro episodio più lento (se così si può scrivere…) del disco, “Hatesworn”. “Lake Ablaze” è sorretta da un main riff elaborato e sicuramente studiato con cura, senza per ciò che la song perda di ferale immediatezza. I toni, infine, si alzano sfiorando anzi lambendo l’epicità con “The Fire Of Resurrection”, completando così un lavoro interessante sotto tutti i punti di vista.

“Phoenix Amongst The Ashes” non è un capolavoro, in quanto non c’è l’esplosione né di canzoni indimenticabili, né di soluzioni stilistiche innovative. È un grande album, questo sì. Cosa non da poco, sia per l’ambiente del death – sempre affamato di band che peschino con eleganza nel passato – , sia per gli Hate Eternal, che avevano bisogno di una robusta iniezione di fiducia (reale, non sognata come da titolo dell’opera), cioè di sfornare un CD effettivamente coi fiocchi, per continuare sulla strada maestra. Ci sono riusciti.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Track-list:
1. Rebirth 1:17 (Instrumental)
2. The Eternal Ruler 3:10       
3. Thorns Of Acacia 4:29       
4. Haunting Abound 5:01       
5. The Art Of Redemption 4:42       
6. Phoenix Amongst The Ashes 5:42       
7. Deathveil 3:31       
8. Hatesworn 4:48       
9. Lake Ablaze 4:29       
10. The Fire Of Resurrection 3:57

All tracks 41 min.

Line-up:
Erik Rutan – Vocals, guitars
J.J. Hrubovcak – Bass
Jade Simonetto – Drums, percussion

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