Recensione: Phronesis
Permettetemi di rivolgermi a voi come se fossimo al pub, seduti al nostro solito tavolo e con l’unico desiderio di rilassare la testa e i nervi dopo una lunga giornata di lavoro. Siamo amici da anni e abbiamo condiviso un po’ di tutto, gli anni spensierati della scuola, le prime band e l’inesorabile arrivo della maturità, che per un motivo o per l’altro ci tiene lontani e ci fa trascorrere queste ridotte ore di svago nel modo migliore possibile, ovvero parlando della nostra grande passione per la musica, quella heavy, la stessa che se in parte ci faceva additare dagli altri come “quelli strani” non ha fatto altro che rafforzare il nostro rapporto. Dico questo, perché anche se siamo seduti l’uno di fronte all’altro solo virtualmente, la situazione è la medesima: vogliamo parlare di buona musica e sapere di dedicare il nostro prezioso tempo libero a qualcosa di valido, magari anche solo soggettivamente, ma deve trasmetterci qualcosa e nel caso non si tratti di un ascolto impegnato dovrà anche permettere alla nostra mente di ricevere qualche oretta di svago sonoro – alle volte non c’è niente di meglio.
I Monuments, dopo 4 anni dal precedente disco, tornano e danno alla luce il terzo long-playing intitolato “Phronesis”, facilmente traducibile come saggezza, quella che definisce anche un determinato comportamento morale; insomma, alla fine si ricollega parecchio a come sia giusto sfruttare il nostro tempo e trattandosi di una release che si sente a suo agio nel calderone djent, promette di offrire molto in termini di spessore musicale, senza necessariamente lasciare indietro l’aspetto melodico, volutamente marcato e più accessibile rispetto ai due precedenti lavori. A.W.O.L. è la perfetta opener per perorare la causa del nostro discorso, una canzone molto, molto melodica che fonde bene un riffing duro con l’ottimo range vocale del singer Chris Barretto, in primo piano per tutta la durata del disco. Hollow King differisce almeno in parte, in primo luogo perché apre la propria paletta stilistica a sonorità più mainstream, con un tratto vocale quasi rap, mantenendo comunque l’obiettivo di sfoderare un’altra sicura hit in sede live. L’attenzione per le lyrics si riflette sulla compattezza dei titoli di ogni canzone e sulla durata delle stesse: parola d’ordine “niente perdite di tempo” e così si arriva a Vanta, altro estratto incredibilmente melodico e che dimostra come Phronesis sia un disco scorrevole e accessibile anche a coloro che vedono il djent come una nicchia del progressive. In realtà, la vera forza di questa declinazione fatta di ritmiche serrate e ampio uso della tecnica è anche il fatto di abbracciare la quasi totalità delle influenze stilistiche di ogni musicista, senza necessariamente dover rendere conto allo scaffale che ospiterà la propria discografia. Mirror Image prosegue sul binario appena menzionato, mostrando la grande adattabilità del vocalist e una base compatta, che risente di un sound a mio parere non perfettamente fuso nel mood stesso del brano, di per sé più valido di quanto possa sembrare ad un primo e fugace ascolto che potrebbe relegarlo ad essere considerato quasi come voglia di finire in radio.
La vena metallica dei Monuments esce fuori con più convinzione grazie a Ivory, che si inserisce perfettamente nella fase di ascolto e conferma che le aspettative di un album tipicamente djent siano state ormai accantonate in favore di qualcosa di più easy listening, ma non per questo meno piacevole. Il chitarrista e main songwriter John Browne ha dichiarato di aver scritto Stygian Blue in uno dei momenti peggiori della propria vita e proprio per questo la canzone è ricca di passione e canalizza in sé tutta la negatività e la voglia di reagire. Ascoltando il brano sembra però che il lato commerciale abbia prevalso anche in questo caso, fatta eccezione di un breve break nella parte centrale della stessa. Alla fine della fiera è orecchiabile (forse troppo) e sveglia in noi il timore che le restanti canzoni rischino di uniformarsi troppo tra loro e perdere incisività. Leviathan riesce però a sorprendere, sia grazie a quella sua camaleontica struttura, che ad un’altra prova di estrema versatilità di Barretto dietro al microfono. Le cartucce sono forse sprecate con la successiva Celeste, che prima dell’orecchiabile ritornello fa intravedere segni più marcati di djent e di una sezione ritmica più ispirata, lasciando però spazio a quella necessità di melodia diretta (non fraintendete, funziona bene) che è divenuta a tutti gli effetti la direzione dell’intero album e lo stesso vale per Jukai, che dalla sua aggiunge qualche licenza strumentale in più e non fa da semplice tappeto alla voce. A concludere l’album ci pensa The Watch, un ulteriore compendio di balzi tra melodia, riffing più o meno sostenuti ed un finale cattivo di cui avremmo avuto bisogno in maniera più massiccia durante il resto del disco. Davvero una canzone solida.
Phronesis è un disco valido e valutarlo non è affatto facile, più che altro perché bisogna prima decidere se giudicarlo come album djent oppure come release a-sé-stante. Nel primo scenario peccherebbe di una produzione che tende a perdere la profondità del suono, invece vitale in ambito djent, mentre nella seconda ipotesi ci offre quasi quaranta minuti di ottima musica, follemente definibile come heavy pop-rock e non prendetemi per pazzo (o scemo, dai perlomeno non completamente). Che non sia un punto d’arrivo è indubbio, ma non riesco ad immaginare come possa essere un nuovo punto di partenza, a meno che i Monuments non intendano allontanarsi ulteriormente dalle sonorità dei primi due album. La cosa intriga, anche semplicemente perché sia stata in grado di spiazzarmi e seppure nessuna canzone faccia gridare al miracolo, state pur certi che ascolto dopo ascolto, l’intero album è in grado di crescere e convincere un po’ più rispetto al giorno prima. E visto che alla band piace molto pesare le proprie parole, concludo senza indugiare troppo e affermando che Phronesis “suona nuovo, suona differente, perciò suona bene”.
Ci vediamo la prossima settimana amici miei, solito tavolo.
Brani chiave: Mirror Image / Vanta / Leviathan