Recensione: Pictures In A Dream
La domanda da porci, prima di avventurarci in questa recensione è: ha senso fare progressive rock settantiano nel 2013? E soprattutto, ha senso farlo senza aggiungere nulla di nuovo? Alcuni mesi fa, affrontando il debutto delle nostre Porte non aperte, la risposta era stata negativa. Oggi la questione viene riportata a galla dai norvegesi Arab in Aspic, gruppo che già nel crimsoniano monicker intende far chiarezza circa i suoi intenti.
Non bastasse ciò, l’inestimabile progarchives ci rende noto che il quintetto di Trondheim (e noi a pensare che lì ci fosse solo il Rosemborg) era nato come cover band, ma col tempo è arrivato a ben 5 uscite proprie. Il sito della band – in norvegese – invece ci rivela come i nostri siano assai apprezzati dai proghettari italiani, dato che, alla sezione rece dei dischi passati, ne piazza ben due su cinque in italiano. Poi il link non si apre, ma noi ci crediamo.
Ad ogni modo, l’informazione più importante, tra quelle appena citate è che gli Arabi in gelatina erano nati come cover band, e lo si sente in modo chiaro, dato che questo loro Pictures in a dream sembra essere una sequenza di omaggi a guppi storici dei seventies. I King crimson di In the wake of poseidon campeggiano in testa, ma bene o male ci troverete di tutto. I risultati sono alterni, dacché, come detto in apertura, poco senso ha accostarsi oggi ad una band che ripete in maniera tanto pedissequa stilemi resi grandi da nomi storici del prog e del proto hard rock. Molto più senso avrebbe ripescarsi quattro dischi del Fripp, un altro paio di Creedence, Doors e compagnia bella. Si vivrebbero molte più emozioni.
Fatto sta però che questi Arabi subpolari sono molto bravi a fare il loro mestiere, ed è assai difficile, per un proghettaro incallito, resistere al fascino di una opener come Rejected wasteland, alle tastiere doorsiane di Hard to find o ai gridolini plantiani di Felix. Oltre a ciò spesso, nel modo di gestire i cori, i nostri volano vicini ai Motorpsycho, senza per questo ripeterne la prolissa ridondanza. Altro punto a favore sono, paradossalmente le due song in norvegese ed in particolare la crimsoniana Vi møtes sikkert igjen, laddove il cantato in lingua madre dona un inaspettato tono esotico. Infine la conclusiva, languida title track, un ottimo pezzo che ricorda i The vines più psychedelici, quelli di Spaceship per fare un esempio concreto (necessario, dato che i Vines salvo colpi di testa settantiani si sono sempre dedicati al post grunge).
Insomma, avete capito, questi norvegesi raggiungono meritatamente la sufficienza, rivelandosi ottimi interpreti e discreti rielaboratori, e però non vanno tanto in là quando si tratta di camminare sulle proprie gambe. Dunque è chiaro che Pictures of a dream sia destinato ad un nugolo di proghettomani incalliti che vi troveranno un piacevole tuffo nel passato. A tutti gli altri invece, il consiglio è quello di ripassarsi la discografia di Animals e King crimson.
Tiziano Vlkodlak Marasco
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