Recensione: Piece Of Cake
La vena creativa di questa leggendaria rock band olandese scorre più viva che mai, considerato che nonostante i recenti avvicendamenti è stato concepito – a un solo anno di distanza da “Crystal Eye” – l’ultimo nato in casa Vengeance, a suggello dei 30 anni di attività. Al neonato è stato attribuito il nome “Piece of cake”, un titolo volutamente ironico e nel contempo celebrativo, vista l’importanza della ricorrenza.
Una gloriosa carriera, undici dischi più tre compilation all’attivo, centinaia di concerti adrenalinici per portare il Verbo del Rock in ogni dove: questi sono i Vengeance! Parola di chi ha avuto la fortuna di vivere tante emozioni in ambito “live” (e non solo), al seguito degli irriducibili e scatenati rockettari olandesi.
La nuova line-up vede protagonisti vecchi e nuovi elementi: in primis, il cantante storico Leon Goewie, che rappresenta innegabilmente l’immagine dei Vengeance nel mondo; il bassista Barend Courbois, che è tornato a far parte del gruppo dopo una parentesi con i Blind Guardian (sono già cinque i dischi realizzati da Barend con i compagni di avventura olandesi); il talentuoso chitarrista Timo Somers, figlio d’arte con tutte le carte in regola per raccogliere la pesante eredità dell’indimenticabile Jan Somers, altro storico fondatore (scomparso nel gennaio 2011 per un attacco di cuore mentre si trovava nel giardino di casa); nella formazione attuale appare anche il chitarrista Leon Sibum e, infine, un’altra vecchia conoscenza come il drummer Hans in ‘t Zandt.
Fatte le doverose premesse introduttive, si può accendere il semaforo verde per il “Via!”, e subito il disco fa sentire le prime sgommate di una partenza bruciante con “World Arena”: un riffone cadenzato da stacchi di batteria belli tosti e scanditi, che aprono la strada a un cantato contraddistinto dal solito approccio grintoso di Leon. Le chitarre sono brusche e cattive al punto giusto, mentre la voce è spinta fino al limite com’è nello stile del frontman. Un ritornello penetrante e melodie indovinate, un assolo di grande spessore, chitarre all’unisono (qui un po’ in stile Iron Maiden, in verità), sono le componenti che costituiscono il tipico marchio di fabbrica della premiata ditta Vengeance. Infatti, questa opener contiene in sé tutta l’essenza della band, che non può che rendere felici tutti i suoi aficionados: welcome back, Vengeance!
Dopo le mazzate di “World Arena”, arriva “Tears from the moon”, più rallentata rispetto alla traccia precedente, ma sempre molto “heavy” nella sostanza e nel tiro, quanto mai robusto e potente. Il refrain riecheggia scenari vagamente AOR, sebbene l’impronta del brano, in generale, non si discosti dal cliché “hard and heavy” che ha segnato il percorso della band.
“Raintime preload” è un breve intreccio bassistico assai virtuoso e tecnico del Maestro Courbois.
“Raintime” si presenta con una ricca ouverture di stampo neoclassico, che lancia la volata a una vera e propria cavalcata in stile malmsteeniano: doppia cassa a manetta, un’ugola superdotata che si disimpegna perfettamente a proprio agio avventurandosi in ottave proibite ai comuni mortali, grandi cori epici e un’articolata attività chitarristica di eccelsa tecnica, con scale proiettate a velocità supersonica. Questo pezzo penetra nelle orecchie con la celerità di un fulmine, risultando senza dubbio una gradita sorpresa nel contesto generale.
Stacchi pesanti e riffoni granitici fanno da intro a “Sandman”, in cui la voce di Leon, diabolica e un po’ malvagia, sporca e acuta più che mai, dà un’altra prova delle sue straordinarie doti. Qui la base ritmica si esprime su livelli eccezionali distinguendosi per tiro e continuità, che conferiscono alla traccia connotati rocciosi e tostissimi.
Con l’inizio di “Back to Square One” si respira aria di Blues. Qui l’apporto vocale dimostra la sua estrema versatilità, sapendosi adattare con consumata perizia a sonorità piuttosto distanti dallo standard. Dal punto di vista strumentale la band si supera, producendosi in un campo un po’ inconsueto, regalando comunque intense emozioni. L’assolo di chitarra, in particolare, è pervaso da una componente espressiva di elevata qualità, con suoni grossi e spessi e con tonalità familiari, alla Gary Moore per intenderci. Sulla scorta degli aspetti emotivi, si potrebbe segnalare “Back to Square One” come una delle più belle prodotte dai Vengeance. Rammentiamo, altresì, che esiste anche il video ufficiale della canzone, molto ben curato secondo il modesto parere di chi scrive.
In “Headquake” si torna al sound di casa, con chitarre grattate e metalliche, impennate alla Zakk Wylde con un tiro tremendamente “heavy” sempre improntato su una mirabile solidità d’insieme, linee vocali di spiccata personalità e un guitar solo di ottima fattura.
“Train” esordisce con una partenza scoppiettante, sui binari tracciati dalla cosiddetta, intramontabile vecchia scuola: riff corposi, acuti lancinanti e schitarrate volutamente devastanti, impreziosite da un assolo assai penetrante che ben si innesta nello sferragliare della potente locomotiva con targa olandese.
“Mirrors” si distingue per un inizio pacato, dominato dalla voce di Leon, che sa dosare sempre i toni con grande mestiere, per poi esplodere in tutta la sua energia nel ritornello. I cori sono ben architettati, così come l’accompagnamento strumentale, armonioso e calzante.
Con la title track “Piece of cake” si ritorna a cavalcare le onde dell’hard and heavy, nel segno del ritmo e della potenza: riff tanto ossessivi quanto incisivi, alla AC-DC, linee vocali prepotenti e un po’ sfacciate, ma sempre con una grande carica di simpatia, com’è nello stile di Leon, un assolo di chitarra a metà tra Steve Vai e Van Halen, pura tecnica e gusto sono gli ingredienti vincenti di questo vigoroso episodio.
Un’intro acustica di atmosfera, accompagnata da un soffio di vento, apre l’ultima traccia, “Goodbye Mother Sky”, che assume via via una maggiore corposità, ascrivibile soprattutto a un pomposo intreccio chitarristico dalle vaghe reminescenze orientaleggianti (i più fedeli fans potranno tornare, con la memoria, alle arie della mitica “Arabia”, datata 1989). In seguito, l’ingresso prepotente della voce marchia a fuoco questa song, sempre più robusta nel suo incedere in crescendo, culminando in un finale nel segno del feeling più toccante, grazie alle sapienti sfumature vocali di un Leon in tremendo spolvero.
Terminato l’ascolto, le sensazioni che circolano sono tutte di segno positivo, a partire dai suoni: ottimo il lavoro della produzione, riconducibile a un certo Michael Voss (Mad Max) e agli stessi Vengeance, sempre presenti in studio durante ogni fase del processo di creazione, fino ad arrivare ai contenuti e all’impostazione stilistica del materiale. Il disco palesa un sound familiare, grande compattezza, eterogeneità, spensieratezza e allegria, puro divertimento, ma anche profondità e intensità di altissimo coefficiente di penetrazione nella sfera emotiva. Un’ulteriore nota di merito, affatto trascurabile, è data dai diversi elementi di modernità presenti nell’album, con un tangibile tocco d’innovazione (i cui meriti sono attribuibili – in gran parte – all’orientamento stilistico del giovane ma già esperto Timo Somers), pur nel rispetto della tradizione e dello stile di famiglia e, quindi, nel segno della continuità.
In definitiva questo lavoro si configura come un gradito “ritorno a casa” per gli amanti del genere (parliamo di sano e genuino Hard Rock anni 80), in particolare a beneficio di tutti coloro che hanno un debole per il gruppo olandese. A tal proposito, i vecchi nostalgici come il sottoscritto non avranno difficoltà a confessare che l’ascolto di “Piece of cake” ha prodotto un effetto: la voglia di organizzarsi e mettersi in viaggio per seguire qualche data del prossimo European Tour!
Rock on!
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Il disco è stato prodotto da KidPool Studios in Greven (Germania) da Michael Voss e Vengeance. La grafica e le foto sono a cura di Florentijn Bruning.
Sito ufficiale: www.vengeanceonline.nl