Recensione: Pike vs The Automaton
Non è da tutti fare uscire due album nello stesso anno con due band, entrambe “pesi massimi” del panorama Metal contemporaneo. È quello che ha fatto Matt Pike nel 2018, pubblicando ad aprile “The Sciences”, l’attesissimo ritorno degli Sleep dopo vent’anni di silenzio discografico, e ad ottobre “Electric Messiah” degli High On Fire. E’ evidente che non stiamo parlando di un musicista virtuoso, ma tutto sommato ordinario: Matt, infatti, altri non è che “The Lord of the Riff”
È possibile che le aspettative (assolutamente soddisfatte) del pubblico e degli addetti del settore nei confronti dei due lavori sopra citati abbiano esercitato una forte pressione sul guitar hero americano che, complice anche la pressoché totale sospensione dell’attività live dell’ultimo biennio, ha trovato il tempo e le condizioni propizie per ritagliarsi uno spazio tutto suo, una valvola di sfogo, dedicandosi al progetto solista Pike vs The Automaton, il cui esordio è stato di recente pubblicato dall’etichetta newyorkese MNRK Heavy (che in questi giorni ha dato alle stampe anche il nuovo “Zero and Below” dei Crowbar).
In questo self-titled di debutto Matt non si allontana dai tratti distintivi che da sempre ne caratterizzano la proposta: vi si ritrovano infatti sia i riff lenti, ultra-ribassati e strabordanti che hanno fatto grande e unico il sound degli Sleep, che la ruvidità e le cavalcate degli High On Fire. Sono sicuramente questo ultimi, in particolare quelli degli inizi, a esercitare maggiore influenza su questa nuova release. Il disco, con una produzione scarna e sonorità basse, calde e impastate al punto da dare l’impressione, in alcuni frangenti, di collassare su se stesse, è infatti musicalmente e concettualmente molto più affine ai primi lavori degli High On Fire (“The Art of Self Defense” e “Surrounded by Thieves” prodotti da Billy Anderson) che non agli ultimi tre che, complice la produzione di Kurt Ballou dei Converge, risultano molto più compressi e taglienti.
È possibile suonare velocemente, ma rimanere essenzialmente Doom? “Abusive”, “Throat Cobra” e “Alien Slut Mum” lo confermano. Stilisticamente in linea con i brani più tirati degli High On Fire, questa tipologia di pezzi trova qui una veste più grezza e immediata. Sono galoppate di chiara impostazione motörheadiana condotte da ipersaturi riff downtuned e da linee vocali ruvide, con ottimi assoli di chitarra a impreziosire il tutto.
Poi ci sono episodi più propriamente Doom: “Trapped in a Mindcave”, “Latin American Geological Formation” e “Leaving the Wars of Woe” sono lunghe marce basate sulla ripetizione ossessiva ed estenuante di riff di gran fattura e massicci innesti di psichedelia psicotropa. In questi brani Matt rimane vicino ai primi High On Fire e Sleep. Gli Sleep del “muro di suono”, quelli di “Dopesmoker” per intenderci, fanno invece capolino in “Apollyon” che, a parere di chi scrive, è il passaggio migliore del lotto. È una traccia il cui incedere lento e granitico concede spazi agli assoli lisergici e che raggiunge il suo apice quando, nella sezione centrale, tutti gli strumenti tacciono e rimane solo la chitarra ad eseguire un riff strabordante che spinge ad alzare le corna al cielo.
Ci sono infine due brani non riconducibili ai gruppi di cui sopra e tra loro agli antipodi. “Land”, con Brent Hinds dei Mastodon alla chitarra, è un Folk elettroacustico dal sapore Southern, mentre nella tiratissima “Acid Test Zone” Doom e Hardcore si incontrano generando una traccia in puro stile EyeHateGod.
Presi singolarmente, questi pezzi non arriveranno forse al livello delle produzioni migliori di Sleep e High On Fire, ma valutato nel suo insieme “Pike vs The Automaton” è sicuramente un’uscita molto interessante. Che Matt Pike non sia mai stato interessato alle logiche commerciali è palese (“Dopesmoker” degli Sleep, con la sua unica traccia da oltre 63 minuti, ne è la dimostrazione), ma l’impressione generale è che con questo album abbia voluto lasciare da parte ogni compromesso, pressione e aspettativa, sfoggiando un’attitudine e un’integrità davvero fuori dal comune e riconnettendosi pienamente alle sue radici underground.