Recensione: Pilgrimage

Di Alberto Fittarelli - 19 Gennaio 2008 - 0:00
Pilgrimage
Band: Om
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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85

C’è un modo di comporre, quello ideale in senso creativo probabilmente, che è totalmente indifferente al genere suonato e da suonare: prende spunto infatti solo dalla sua visione di sound, dai sogni e dagli incubi di chi gli dà vita, dalla capacità di plasmare con pochi elementi un intero mondo. Credeteci o meno, questo sono gli americani Om.

Se avete avuto modo di ascoltare i precedenti due dischi della band, Variations on a theme e Conference of the birds, sappiate che non ad oggi non ci si è distanziati di molto, anzi: in Pilgrimage troverete tutti gli elementi fondamentali di quegli album, dal songwriting estremamente scarno alla profondità, dalla pesante lentezza all’ossessionato canto, quasi di sottofondo nel tessuto musicale. Ma in questo caso non si può parlare di involuzione, né di incapacità di crescere, tutt’altro: Pilgrimage è un mantra che va considerato a sé stante, e nella sua completezza; che può essere accostato a quanto sentito in precedenza ma vive di vita propria, senza doversi reggere a paragoni più o meno importanti.

Mantra: ecco la parola chiave per descrivere sinteticamente Pilgrimage. Al Cisneros e Chris Hakius hanno infatti mutuato dagli Sleep, la doom band che condividevano con Matt Pike (ora a capo degli altrettanto ottimi, ma ben diversi, High On Fire), la ripetitività ossessiva, religiosa, quel minimalismo dei culti primordiali capace di evocare, con solo basso, batteria e voce, atmosfere dimenticate o forse non ancora vissute; uno scenario quasi opprimente nella sua vastità, e percepibile solo se non si considera – assolutamente! – Pilgrimage come un’opera di consumo.

Il titolo dice tutto del resto, e il cammino degli Om verso il proprio divino, qualunque esso sia, procede nelle quattro tracce del disco lento e costante. Forse il nucleo del “pellegrinaggio” può essere individuato nella terza Bhimas’ Theme, quasi 12 minuti di psichedelia doomy, funebre e ascetica, con un break capace di spezzare il muro di basso distorto per due lunghi minuti, prima di vedere gli Om riprendere la marcia.

Vedere, sì: perché come tutti gli album, quelli metal specialmente, dovrebbero fare, Pilgrimage dipinge interi panorami davanti ai nostri occhi, e l’avviso di Al Cisneros (che avrebbe voluto imporre, sulla cover del disco, la scritta “Play Quiet”) mostra la via verso la vera comprensione di un album come questo: sperimentale ma anche radicato in quanto conosciamo, minimalista ma così completo, pesante, ma così spirituale. In ultima analisi: profondo, vibrante, raro.

A ognuno la scelta, non è musica per tutti; non fa ancora moda, non fa fashion e look, ma signori, quanto vale…

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Pilgrimage
2. Unitive knowledge of the godhead
3. Bhimas’ Theme
4. Pilgrimage (Reprise)

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