Recensione: Pirut
Questo 2013, indiscutibilmente ricco di emozioni a livello musicale, trascina i suoi ultimi bargigli verso l’ineludibile fine e pure in un dicembre quantomai avaro di uscite pregevoli (almeno nei campi d’interesse del sottoscritto) regala un ultimo colpo di coda firmato dalla band che non t’aspetti. O meglio da una band attesissima solamente dai quattro gatti che (per ora) la conoscono. Tale band risponde al nome di Kauan, meglio noti ai quattro gatti di cui sopra come “quelli là che vengono dalla Russia asiatica ma cantano in scandinavo altaico.”
Qual baco della steppa abbia indotto Anton B?lov ad eleggere il finlandese a lingua delle sue composizioni non è dato saperlo, ma speriamo di scoprirlo un giorno, magari non lontano. E mentre ci perdiamo in filosofeggiamenti di dubbia utilità la nostra attenzione viene catturata da alcuni fatti oggettivi piuttosto sorprendenti, se guardiamo la storia recente della band. Il primo è che il duo di ?eljabinsk ci regala la quinta perla discografica in appena sette anni. La seconda è che i Kauan non sono più un duo, dato che la violoncellista Ljubov Mušnikova (lo so che Wikipedia scrive in altro modo, ma non posso mancar di rispetto al mio retaggio slavista) ha abbandonato il gruppo per motivi al momento non chiari. D’altro canto Anton ha abbandonato le steppe transuraliche in favore delle accoglienti pianure transcarpatiche dell’Ucraina ed ha dato al progetto Kauan la forma di un vero gruppo a cinque elementi.
Ed ha preso a lavorare alla sua nuova creatura, giunta a noi col titolo di Pirut (diavoli) Le registrazioni sono durate oltre dieci mesi e sono state scosse dalla famigerata meteora, tanto che Pirut, corredato dal tradizionale artwork da orgasmo, ritrae in copertina soltanto la scia lasciata dal meteorite nel cielo siberiano sopra i contorni di una città disegnata a matita (niente chemtrails, amanti dei complotti). Il grigio poi è un colore che ha sempre dominato la musica dei Kauan, sempre introspettiva, cadenzata malinconica, sempre orientata ad un post rock minimale influenzato di volta in volta da elementi diversi. Black negli esordi, elettronici nell’indiscusso capolavoro Aava tuulen maa, timidamente prog in Kuu…. Chi avesse sentito questi due dischi, in particolare Aava, potrebbe chiedersi pure che ci facciano i “russi che cantano in finlandese” sulle pagine di truemetal. Aava effettivamente è un disco gran disco d’atmosfere gelide, ma di metal non ha manco le tastiere.
Ma pur ricordiamo che il nostro compito è spargere buona musica, ed uniamo al fatto che i dischi dei Kauan sono buona musica saltuariamente influenzata dal metal. Ecco, in Pirut di metal ce n’è. Ma non è che possiamo semplificarla così. Perché Pirut è l’ennesimo disco eccezionale di una band eccezionale. E si presenta come eccezionale già nella forma. Apparentemente un dischetto da poco, solo 39 minuti, ma a ben guardare una composizione unica che i nostri hanno diviso in otto parti per comodità. E che sorprese ci riserva questo diso?
Beh bisogna dire che Pirut inizia con un piglio decisamente metal. I primi dieci minuti, corrispondenti alle prime due tracce. Si parlava di meteoriti, ed infatti l’inizio di quest’album si abbatte con la cupa pesantezza del doom, un macigno solenne di poche note nere che riappariranno nel corso dei quaranta minuti successivi. Un macigno doom nel quale compare, a sorpresa, anche un passaggio in growl. In tutto questo il canto di B?lov, tratto inconfondibile dei nostri. Non solo, compaiono anche riff lamellari gotico funeri, marziali e ipnotici, lenti e strazianti come il vento dell’Ural.
Con l’arrivo della terza traccia ad ogni modo veniamo riportati su sentieri più consoni ai Kauan, con il “prepotente” ritorno di piano, violoncello e chitarra acustica, tastiere atmosferiche e una sconfinata malinconia, elementi che vanno a disegnare il secondo meraviglioso riff portante di questo disco. Il resto della composizione prosegue nel suo mischiare riff elettrici e indolenti, che erano stati anticipati timidamente in Kuu.. pianoforti delicati e brulle chitarre acustiche. Tre elementi che effettivamente vanno ad affrescare un lavoro di chiarissimo richiamo progressivo nel suo riproporre riff che vanno e vengono, penetrano, incantano, cullano. Difficile dare una descrizione omogenea del disco (seppur ammetto che con The theory of everything degli Ayreon il compito era ben più gravoso). Eppure bisogna dire che, sorprendentemente ed ancora una volta, un album composto da un unico pezzo finisce per andare molto oltre al mero esercizio di stile. Anzi, a dispetto delle premesse, un disco asciutto sobrio ed equilibrato, Pirut è disco in cui nulla è fuori posto, nulla è ridondante, nulla è di troppo, coronato da una impeccabile struttura circolare che si conclude col riff doom che apriva l’opera.
Difficile, in ogni caso e dato l’entusiasmo, dire se Pirut sia il miglior disco dei Kauan. Probabilmente cede ancora una volta il passo ad Aava, seppure lo superi per maturità, strutturazione e sfaccettature sonore. Ad ogni modo, un altro florilegio di emozioni, l’ennesima prova di classe cristallina da parte di una band che sin qui non ha sbagliato nulla. In ogni caso, ci troviamo davanti ad una delle migliori uscite del 2013. Non le prime cinque, sicuramente le prime dieci.
Tiziano Vlkodlak Marasco
Topic Sui Kauan
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