Recensione: Pitch Black
Chi pensava che il death metal melodico fosse morto, è servito: ci sono i Rifftera, a dimostrarlo!
Figli di Soilwork e In Flames, ne riprendono la filosofia musicale, aggiornandola però ai tempi. Esattamente come altri ensemble del tipo dei The Stranded, Destrage, Rise To Fall e i nostrani Disarmonia Mundi. Epigoni, cioè, si spera per loro, di un nuovo movimento denominato ‘melodeath’ o, meglio ancora, ‘modern metal’. Quasi a significare che le loro coordinate stilistiche siano da prendere ad esempio quali capisaldi della nuova generazione metallara. Lasciando da parte estremismi sia testuali sia sonori.
Allora, per ‘aggiornamento’, s’intende un deciso depotenziamento dell’impatto sonoro, un approccio pienamente thrashy delle chitarre – e non death – e, soprattutto, tanta, tanta melodia. Melodia mai stucchevole, ma anzi tosta e robusta; per nulla vogliosa di concedersi al troppo facile ascolto. Anche perché, bene o male, una delle parti che fanno sì che tutto quanto possa ancora infilarsi nel calderone del death c’è: il growling. Più o meno marcato a seconda dei casi, addirittura accoppiato alle clean vocals a mo’ di Scar Symmetry, non a caso… come in questo caso.
Certo, “Pitch Balck” è il debut-album, per i finlandesi, seguendo solo tre demo (“Lightbringer”, 2011; “Back To Life”, 2013; “Open Wounds”, 2014), con che i peccati di gioventù ci sono, nell’album stesso. E, quindi, le distanze dal più su menzionato act sono notevoli.
Tuttavia, Janne Hietala e soci dimostrano una certa personalità, rinvenibile nel discreto livello compositivo, nell’ineccepibile (ma c’era da aspettarsi il contrario?) preparazione tecnica, e nella rifinitura, più che sufficiente, del proprio sound. Ma, come prima cosa, nell’ardito tentativo di sconfinare nel territorio del prog, come dimostrano le due suite “Ashes Fall” e “Pitch Black”.
A parte le citate song, i Rifftera evitano comunque accuratamente di svolgere il loro compitino a base di canoni stilistici elementari. Anzi, il tentativo di arricchire le canzoni con cambi di tempo, variazioni dei toni e refrain non scontati è encomiabile. Alcuni brani, difatti, ‘suonano’ proprio bene.
E, fra essi, non si può non citare l’opener “Back To Life”, infarcita a dovere dalle tastiere e arricchita da un ritornello un po’ triste, forse meglio dire melanconico. Circostanza sentimentale che in ogni caso non abbandonerà il platter sino alla fine, regalando al medesimo una profondità emotiva non da poco. Oppure “Lightbringer”, fast-song che ricorda un attacco thrash in pieno Slayer-style! O, meglio ancora, “Open Wounds”, probabilmente il pezzo migliore di tutti per via sia delle alte velocità raggiunte (eh, sì, alla fin fine la cinematica è tutto o quasi, nel metal…), sia del chorus assolutamente vincente.
“Pitch Black”, nel complesso, è un lavoro che regala più d’una soddisfazione: classe e talento non mancano, e si fanno sentire. Ha il difetto, ancora piuttosto marcato, di procedere ‘a strappi’, come se ci fosse ancora qualche remora, da parte dei Riffera, sull’individuazione della retta via.
Un peccato di gioventù, si spera.
Daniele D’Adamo