Recensione: Place Vendome
Sull’onda di un successo che non lo abbandonerà mai, Michael Kiske si è presentato sotto diversi monicker e apparizioni più o meno felici da quel 1994, anno dello split con gli Helloween, in seguito all’uscita poco felice – dal punto di vista delle vendite – di “Chamaleon”. Due album solisti a nome Michael Kiske e un progetto – Supared – sulla stessa scia che non hanno lasciato il segno; tante apparizioni, persino sotto un nickname in side-project power metal e con i vecchi amici, a discapito di tanti proclami… Con una spocchia che farebbe imbestialire anche Madre Teresa, il cantante tedesco iniziò le sue diatribe con il metal e con il music business all’indomani del flop di “Chameleon”, album sicuramente coraggioso e troppo poco “metal”, per i gusti dei fan, tanto che Michael deve essersela proprio legata al dito. Peccato che alle chiacchiere non seguirono mai i relativi fatti. Forte della reputazione raggiunta, infatti, Kiske ha potuto fare in tutti questi anni praticamente il bello e il cattivo tempo a suo piacimento, sicuro del fatto che le magre vendite dei suoi progetti solisti sarebbero state ben “coperte” dagli introiti delle partecipazioni nei vari Avantasia & Co..
E allora perché non cedere alle tentazioni di Serafino Perugino della Frontiers, pronto a mettergli sul piatto d’argento una manciata di brani ruffiani e diretti, cantabili, sfruttando proprio quel “trallallà” che Kiske tanto diceva di odiare, ma per cui i fan sembrano andare in delirio…?
Il “sì” di Michael non si fa attendere, ed ecco che il cast è già completo: Dennis Ward dei Pink Cream 69 curerà la produzione, oltre ad aver scritto gran parte dei pezzi, insieme ai suoi compari David Readman e Alfred Koffler, e Gunther Werno dei Vanden Plas. Ward suonerà anche il basso, mentre alla batteria e alla chitarra ci saranno altri due Pink Cream 69, ovvero Kosta Zafiriou e Uwe Reitenauer, mentre lo stesso Werno si occuperò delle tastiere.
Ironia della sorte, Kiske si ritrova in pratica a cantare su un disco dei Pink Cream 69, cioè la ex band di Andi Deris, che lo sostituì dietro il microfono negli Helloween, e checché Michael ne dica – ormai le sue dichiarazioni sono più scontate dei sermoni di Joey De Maio – le song hanno ben poco da richiamare dei Journey o – peggio ancora – dei Foreigner. Il chiaro intento di racimolare i consensi di chi voleva le melodie di un “Keeper Of The Seventh Keys III” si palesa con la composizione di dieci pezzi cuciti addosso all’ugola di Kiske, con due o tre highlights a far gridare al miracolo. “Cross The Line” è l’opener da cantare a squarciagola, come volevasi dimostrare; è pur vero che Kiske non si era mai dedicato, se non in qualche frangente su “Chamaleon”, all’hard rock/AOR canonico, e la spavalderia con cui rivaleggia con i grandi del passato è comunque giustificata dalla sua voce, rimasta la stessa di vent’anni fa (e qui permettetemi di dire che non è necessariamente un bene): si risentono le inflessioni, le variazioni, i passaggi, persino le sbavature di quel Keeper part I che lo rese un idolo. E non è un caso che la titletrack abbia quella vena happy – certo non metal per carità, non sia mai – degli Helloween più spensierati. D’altro canto ci sono le ballad e le song più intimiste a ricordarci che Michael non canta più “musica per bambini”: “I Will Be Waiting” ha un flavour pop che ricorda una hit di Cher, “Walking in Menphis”, e la stessa “Place Vendome” ha nel ritornello un dejavu dei Sixpence None The Richer, autori di quella “Kiss Me” che faceva da colonna sonora all’omonimo film, destinato ad un pubblico decisamente impegnato…
A parte tutto, ho deciso di dare alla recensione un taglio che difficilmente noterete altrove, ma qui siamo su Truemetal.it, no? Ebbene, cari vecchi nostalgici a cui non interessa minimamente dare un giudizio sul Kiske uomo, ma esclusivamente della musica, comprate questo disco, è un gran bel prodotto.
Tracklist:
- Cross The Line
- I Will Be Waiting
- Too Late
- I Will Be Gone
- The Setting Sun
- Place Vendome
- Heavens Door
- Right Here
- Magic Carpet
- Sign Of The Times