Recensione: Planet Zer0
Solitamente, nel nostro periodo storico, il lettore medio tende a disdegnare le raccolte di racconti e di conseguenza queste trovano sempre minor appoggio da parte delle case editrici. I motivi per l’insuccesso che il racconto sta vivendo sono molteplici e probabilmente uno dei tanti è l’unità del dettato, che non sempre viene colta in una raccolta di storie brevi, unità del dettato che ha certamente il pregio, come avviene nei romanzi, di creare un’atmosfera duratura, capace di accogliere il lettore ogni qualvolta ella o egli riprenda il libro dove lo aveva lasciato. Però è capace di far questo anche ogni buona raccolta di racconti, quando questi ultimi sono uniti da un più velato filo conduttore. Ma trovo che questa capacità sia ancora più importante nella musica, trovo sia molto apprezzabile che un buon album sappia accompagnare l’ascoltatore non obbligatoriamente lungo la stessa storia, ma anche attraverso una comune ispirazione, madre tanto del microscopico della singola traccia, quanto del macroscopico dell’intero lavoro dove queste sono comprese.
Questo è un pregio che forse è facile dare per scontato ma sicuramente prezioso ed è un pregio che gli Art hanno espresso con grande proprietà nel loro album d’esordio, Planet zer0. Un album che mi piace vedere come una raccolta di racconti, ognuno dei quali collegati tra loro, perché storie osservate e contemplate da un alieno, introdotto tramite la prima traccia, che scruta nella sua cecità i terrestri. L’ascoltatore riesce a vedere ogni personaggio narrato nelle tracce grazie alla sapiente alchimia tra musica e testi, un’alchimia che ritrae le figure delle storie, illustrando soprattutto le loro emozioni, tra le quali mi pare risalti un’evocativa malinconia, che è quasi una preghiera per quel riscatto dalla sofferenza, necessaria affinché si possa essere capaci di cogliere la felicità.
Ispiratore degli Art è stato Leonardo Da Vinci, per la sua capacità di lasciare libero il fruitore di cogliere tutti gli elementi donatigli. Planet zer0 ha la forte vocazione a trovare compimento vero nel profondo di ogni ascoltatore, cui viene lasciato ampio campo di osservazione dai cinque aedi che lo hanno suonato. Le agili e dannatamente coinvolgenti tastiere di Enrico Lorenzini, l’ardente voce di Denis Borgatti, le ritmiche efficaci, bilanciate e trascinanti del basso di Diego Quarantotto e della batteria di Fabio Tomba, l’emozionante ed espressiva chitarra di Roberto Minozzi non solo rendono impeccabilmente compatta la loro proposta musicale ma attraggono e divertono da matti fin dal primo ascolto, costringendo a muoversi, a spulciare i testi, a curiosare tra questi.
Quest’album a me è piaciuto tanto. È suonato benissimo, architettato con competenza narrativa e compositiva e soprattutto con vera passione. Ma anche con una attenta cura del dettaglio, palese già dal loro sito internet, dove è spiegato ogni brano. Posso solo consigliarlo a chiunque sappia apprezzare la buona musica senza etichette di genere e soprattutto consiglio di tener d’occhio gli Art, con una viva speranza alimentata dalla consapevolezza che Planet zer0 è un esordio davvero riuscito.