Recensione: Point Of No Return
Sono in giro da un po’ i The Prowlers e, diciamola tutta, si sente.
Esperienza ed abilità nell’ammaestrare generi estremamente battuti e conosciuti come Prog-metal, Power e Hard Rock, in effetti, non sono patrimonio da esordienti alle prime armi, in perenne conflitto con mancanza di un filo di personalità e costanti citazioni di muse illustri alle quali pagare tributo.
Nato nel lontano 1996 nella forma di “semplice” cover band degli Iron Maiden, il quintetto romano ha sin qui inanellato una rispettabilissima serie di cd (quarto della serie, questo “Point Of No Return”, oggetto di recensione), non facendosi mancare i tradizionali ed imprescindibili rimestamenti di line-up, insieme ad estenuanti e reiterati cambi d’etichetta, tanto da giungere – con la recente nuova release edita da Perris Records – al singolare record di quattro album per quattro label differenti.
Un dettaglio tutto sommato insolito, considerando la più che discreta abilità dimostrata in più occasioni del combo tricolore, di certo non inferiore rispetto a gran parte dei competitori presenti sulle scene attuali.
Protagonista di una piacevole miscela di power tradizionale, suoni hard rock e raffinatezze progressive, la band capitolina manifesta proprio con “Point Of No Return”, un’affidabilità notevole ed una resa omogenea distribuite su distanze e minutaggi ragguardevoli.
Piuttosto articolato, il disco prende quota – via, via – con il susseguirsi dei brani presenti in scaletta, raggranellando consensi con il procedere dei minuti e – come ovvio – con la complicità di un qualche ascolto aggiuntivo.
Non sono tuttavia i suoni a sorprendere più di tanto: una produzione “minimale” e non propriamente “profonda”, non impedisce – per fortuna – al cd di rivelare le buone caratteristiche con cui è stato confezionato, frutto di un’interessante amalgama di varie sfumature.
Innervati di puro e tradizionale power “moderno”, i primi pezzi regalano per lo più sostanza e buona energia, per poi, progressivamente (è il caso di dirlo), lasciare spazio ad alcuni elementi maggiormente raffinati e dal taglio più elegante.
Si passa così dall’incedere urgente di “Face To Face” e “Heaven Start From You”, allo stile prog rock dell’ottima “Warriors Of The Wasteland”, episodio – a dispetto di un titolo significativamente fantasy – dai contorni levigati e dal songwriting meditato.
Un’alternanza di atmosfere che si dipana lungo l’arco dell’intero cd, giungendo a solleticare qualche attitudine alla Queensrÿche con la mini-suite “The Profession, Part 2”, composizione divisa in tre movimenti, posta a chiusura dell’album, in cui apprezzare un buon gusto per strutture complesse e risvolti stilistici variegati.
Il motivo poi, per cui il bravo Fabio Minchillo venne originariamente scelto per un ruolo da “sosia vocale” di Bruce Dickinson, appare talora molto ben evidente e manifesto. In effetti, le sfumature nella voce dell’ottimo singer nostrano appaiono, spesso, fortemente accostabili a quelle del celeberrimo Bruce Bruce: un’ulteriore punto di forza per il valido quintetto italico.
Di facile ascolto, leggero e ben confezionato, il quarto capitolo sulla lunga distanza dei The Prowlers è, in buona sostanza, materiale di valore più che buono per il quale andare piuttosto fieri. Un disco particolarmente adatto alle orecchie degli amanti di power e prog metal che, al netto di una produzione tutt’altro che efficace, riesce a mettere in risalto le qualità di una band interessante e dotata di fondamentali più che decorosi.
Suoni più definiti e potenti, potrebbero essere lo step successivo alla ricerca del “salto in alto” finalmente decisivo, ad oggi intuibile, ma non ancora del tutto a portata di mano.
Discutine sul forum nella sezione Power!