Recensione: Poison
Gli apprezzatori del black metal di matrice americana conoscono già da tempo quella che potrebbe essere definita come la one-man-band di S. Holliman. Gli I Shalt Become, infatti, giungono con questo “Poison” al quinto album, definito come un “concerto di 55 minuti, diviso in 10 movimenti”. Una definizione piuttosto particolare, per un disco che sembra esserlo altrettanto.
La proposta musicale degli I Shalt Become è ben lontana dal classico black metal norvegese o, più in generale, scandinavo. In realtà è ben lontana anche dal più comune black sinfonico, pur condividendone alcuni aspetti. La prima cosa che salta all’orecchio, infatti, sono le partiture orchestrali, qui ottenute con un sintetizzatore. Sono esse la vera e propria ossatura delle canzoni, tanto che tutto il songwriting è interamente basato su di esse; relegando chitarre, basso e batteria in secondo piano. Questi ultimi, inoltre, non sono declassati solo dal punto di vista compositivo, ma anche per quanto riguarda il missaggio, avendo volumi sempre più bassi del synth. Lo stesso dicasi per le parti vocali, anch’esse sempre in secondo piano. Il risultato è quello di ridurre anche lo scream (decisamente disperato e lacerante) a mero strumento, il tutto, evidentemente, al solo scopo di creare un certo effetto.
Sicuramente una scelta precisa e voluta del mastermind Holliman per puntare, con questo album, maggiormente (o unicamente) sulle atmosfere. I passaggi orchestrali, infatti, non si esibiscono mai in particolari evoluzioni, preferendo piuttosto fungere da accompagnamento, quasi da colonna sonora. I ritmi accelerano solo in rare eccezioni per mostrare una parvenza di ciò che è il black dall’altra parte dell’oceano, per il resto si attestano su tempi quasi doom. Lenti, marziali, addirittura funebri.
Per quanto “Poison” non sia tra le opere migliori degli I Shalt Become si fa certamente notare per la particolarità e la forte personalità della proposta. Proprio questi elementi, però, rischiano di essere sia il punto forte che il punto debole di questo album. Le sonorità scelte e la ricerca spasmodica dell’atmosfera, risultano sicuramente interessanti da un punto di vista di mera critica, ma al contempo tendono ad allontanare l’ascoltatore meno preparato. Inoltre anche ai più interessati ad andare oltre i generi e gli stereotipi, a chi è perennemente alla ricerca di qualcosa di nuovo e diverso, le composizioni tendono, ben presto, a sembrare un po’ ripetitive. Perciò, ciò che nasce sotto ottimi auspici, giunge in definitiva ad apparire come un esperimento non del tutto riuscito.
Per concludere: la nuova opera di Holliman, sotto il monicker I Shalt Become, è un disco di sicuro interesse, dotato di una forte personalità e fuori da un’ottica prettamente commerciale. Non tutto è oro quel che luccica, però, e anche “Poison” non fa eccezione. I limiti di questo album, infatti, sono molteplici e, se non ci si ferma alla patina di “opera complessa e difficilmente accessibile” vengono ben presto tutti alla luce. Non sempre ciò che non è subito immediatamente fruibile è sinonimo di altissima qualità, qui ne abbiamo un esempio. Un ascolto è lecito e quasi doveroso darglielo, quantomeno per l’originalità, ma manca molto lavoro per poterlo chiamare capolavoro.
Tracklist:
01 Like a Lamb to the Slaughter…
02 Black Swan Events
03 Harlow’s Vertical Chamber Apparatus
04 No Quarter at the Somme
05 Ghosts
06 Leaving Watership Down
07 The Swarming of the Locusts
08 Doubt
09 The Finest Cut of the Scalpel
10 Absolve Me
Alex “Engash-Krul” Calvi