Recensione: Post Society
La classe non è H2O
Alle band che sanno fare il loro dovere, che hanno l’intelligenza, la classe e l’esperienza per saper dosare le proprie capacità artistiche, non servono molti stratagemmi e minuti per ricordare una volta ogni tanto che sono una spanna sopra gli altri. I Voivod hanno tutto di quello sopracitato, aggiungiamoci poi una spiccata creatività che da sempre li contraddistingue dalle classiche band in giro per globo terraqueo, ed il gioco è fatto. Raccontare di loro è superfluo e insensato, chi non li conosce si faccia una po’ di cultura musicale, gli altri continuino a seguirmi grazie. Questo Post Sociey EP è la prima uscita ufficiale della band con Rocky (al secolo Dominque Laroche) in formazione dopo l’uscita di Blacky nel luglio del 2014 per divergenze artistiche e di “businness affair”. Potrebbe sembrare un dettaglio agli occhi dei meno avvezzi, ma una volta che si comprende quanto l’ultimo nato, Target Earth, sia figlio del vecchio bassista le orecchie iniziano a friggere e le differenze stilistiche rispetto tre anni addietro saltano fuori dall’acqua come salmoni controcorrente. Salmoni canadesi ovviamente.
Entriamo signori e signore nell’ambito prettamente musicale che, portando il nome Voivod in calce, non finirà mai di stupirci uscita dopo uscita. Già dall’iniziale Title Track si riesce a comprendere quanto sia presente una sorta di evoluzione della band, con questo ritmo incalzate a tratti punkeggiante, che nel giro di poco diventa quanto di più stupefacente possibile con la dilatazione delle tempistiche e l’apertura melodica da far accapponare la pelle. Un mondo si apre alle visione dei presenti e come cullati dalle onde del mare, di punto in bianco ci accorgiamo di non essere più in pieno controllo del nostro corpo mortale e ci avviciniamo alla fine accompagnati da riffs psichedelici e raffinati, cadenzati dalla voce di Snake, confermatosi l’arma vincente che chiude il cerchio alla perfezione. Forever Mountain, uscita in precedenza sullo split con i Napalm Death qualche mese addietro, a dispetto della precedente traccia parte molto cadenzata, una sottospecie di mid tempo ritmato e visionario che ci trascina in luoghi distanti ed onirici. Non riusciamo a distaccarci da quella realtà eclettica che solo la band canadese riesce a creare attraverso una personalità e una capacità unica nel suo genere, magiche distorsioni per pochi eletti. Anche l’assolo centrale è azzecatissimo e risulta finalmente un plus, rispetto ai piri-piri che ascoltiamo in giro normalmente fini a se stessi; lo stacco a 4:20 è da horns up epico, da cantare a squarcia gola in coro sino alla notte dei tempi. Magistrale.
So here we are, on the roof of the world
We belong to the sky
Now we have reached the point of no return
Constantly flying
Obstinately crawling
No choice but to go on…on and on.
Fall è un lento di notevole fattura, la voce parlata per molti punti è ammaliante, Away con le sue ritmiche sulle pelli è padrone della situazione; una prestazione chirurgica e in certi tratti minimale, che porta tutto su un livello superiore a quanto mai ci si poteva aspettare. Ottima la prova del nuovo arrivato, che proprio in questo brano, riesce a diventare attore protagonista con interventi semplici ma fondamentali negli stacchi e nei cambi tempo. La sua presenza in Line-up conferma che nei Voivod ci entra solo gente seria e preparata, non i primi che sono in transumanza lungo le strade. Ipnotica e travolgente diventa un mantra nella testa che non riesce ad uscire continuando ad incanalarsi lungo i pertugi della corteccia cerebrale. We are Connected era già presente sull’altro split uscito a marzo scorso con gli At the Gates, nulla di nuovo dunque e che non ci siamo già ascoltati. Come le altre già raccontate si contorce e si sovverte in ogni momento quando meno te l’aspetti, andando a diventare e mutare per diventare ancora senza mai calare di classe e intensità. Un riff cadenzato monocorde ci accompagna per i primi minuti per poi riallacciarsi in fondo, ma è la parte centrale che tutto fa accadere; lo stacco di batteria a 1:55 e la psichedelica entra nelle nostre casse, ci sentiamo irrigiditi e molli allo stesso tempo, orgasmi multipli e gli indumenti intimi delle fans che svolazzano. Questa signori è da applausi, non si racconta una traccia così; chi riesce a sentire i codici mors in sottofondo lontano come echi dissipati? Le chitarre a-là King Crimson al quarto minuto? Chi non si emoziona con così poco ma così tanto? Altri applausi a scena aperta e giù il cappello. Chiude il cerchio la cover degli Hawkwind come omaggio, impossibile da non effettuare, a Lemmy nel periodo giovanile con la magnifica Silver Machine. Ovviamente a dispetto dell’originale qualche accorgimento è stato effettuato, ma l’essenza è rimasta inalterata e possiamo definirla al limite della perfezione se vista attraverso gli occhi dei Canadesi. Paradossalmente anche il timbro vocale ricorda alla lontana quello di Lemmy dei primi tempi; un omaggio oltre che doveroso di grande importanza.
Post Society è un ottimo prodotto che ci ricorda, come detto in partenza, che la classe non è acqua e i grandi posso anche fare uscire quattro brani inediti, di cui due già fatti ascoltare, con l’aggiunta di una cover per ricordarci quanto ancora abbiamo bisogno di loro. I Voivod sono un patrimonio dell’umanità e vanno tenuti con cura, ascoltati e glorificati, perché di band così non se ne vedono tutti giorni e quando non ci saranno più un giorno li rimpiangeremo. Da vivere senza frontiere, da cantare senza paure, con l’ennesima riprova che la loro carriera non è ancora finita. Lunga vita.