Recensione: Power And Outcome
I Cast sono un storico gruppo prog. rock messicano, nato sullo scorcio degli anni Settanta e vicino alle sonorità di casa Genesis. Il loro primo studio album risale al 1994, ma la loro discografia è più che nutrita; inoltre la band è ospite fissa al Baja Prog Festival che si tiene ogni anno a Mexicali e che richiama gruppi da tutto il mondo. Il mastermind dei cast è il vulcanico tastierista Alfonso Vidales, fautore di un prog. sopraffino intessuto di armonie sontuose, impreziosito da inserti di violino e generoso di passaggi e intere composizioni strumentali. Nel corso della loro carriera hanno toccato lidi sonori dei più disparati, dal barocco, all’etnico, alla fusion, mantenendo però una propria identità sonora, che li ha portati a farsi conoscere presso un pubblico d’intenditori. Power and outcome è un album che definire maturo sarebbe riduttivo: ottimo artwork, tanta creatività, settanta minuti che delizieranno ogni progster che si rispetti, preparato a ogni forma di prolissità progressiva.
L’avvio del platter è convincente. Dopo qualche secondo oscuro risplende subito la maestria tecnico-compositiva dei Cast, con tastiere ariose, violino e chitarre graffianti. Non è da tutti aprire un album con una strumentale da undici minuti, i messicani vincono la scommessa e riescono a stupire senza annoiare lungo questa composizione multiforme, che richiama band come Kansas, Gentle Giant e Yes, ma anche Dream Theater e Rush.
La title-track vede all’opera l’ugola di Bobby Vidales, calda e accogliente. Il drumwork, invece, deve molto al dettato di Mike Portnoy, mentre le parti di pianoforte donano un tocco di ricercatezza al pezzo, che evoca i paesaggi sonori degli IQ. Le due parti di cui si compone la mini-suite “Details” sono entambe magnifiche. “Circle Spins” negl’istanti iniziali sembra uscire da un disco degli Shadow Gallery (scusate se è poco) e ha un incedere fatato con ritornello dei più memorabili del platter. “Start again”, invece, è la seconda strepitosa strumentale in scaletta e vi porterà in un viaggio sonoro entusiasmante. Incredibile come i Cast riescano a comporre labirinti sonori variegatissimi, con unisoni al cardiopalma e freschezza infinita. Non incidono solo le tastiere del mastermind, ma anche le 6-corde, con assoli stellari e mai centellinati. Ovviamente, lo ripetiamo, non è musica per tutti, bisogna essere predisposti per composizioni così complesse.
“Through Stained Glass” è tra i brani meno convincenti del lotto, ci sarebbe stato alla perfezione come ospite Ted Leonard al microfono e forse il risultato sarebbe stato differente. La prima parte di “Illusions and Tribulations” riporta l’album su livelli d’eccellenza, quasi dieci minuti di maestria prog. che se la gioca alla pari con i rinati The Tangent. Ultimo pezzo dal minutaggio sopra la media, “The Gathering” è un’alta cavalcata falotica imprevedibile e circense. L’album termina con tre pezzi brevi, il primo strumentale, con un assolo di chitarra elettrica da brivido. “Full Circle”, invece, è un gioiellino acustico, voce-piano-violino: “Dialect for the 21st Century” una sontuosa conclusione in crescendo.
Il Messico regala un altro album memorabile dopo Dodecaedro dei Glass Mind. I Cast riescono a proporre un modo in parte diverso di fare prog e lo fanno dando l’anima. Power and outcome vede il suo unico difetto in un eccesso di prolificità creativa e parti strumentali arzigogolate, ma per chi è già fan della The Neal Morse Band non è un problema, anzi. Una band tutta da scoprire, a voi attingere dalla loro ricca discografia e amarne le mille sfumature. Speriamo di avervi convinti a farlo al più presto.
Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)