Recensione: Power & The Glory
E’ il 1983. I Saxon sono già al quinto studio album (più il mastodontico live “Eagle Has Landed” del 1982) in quattro anni, il primo con una lineup diversa dall’originale (il drummer Nigel Glocker prende infatti il posto dell’uscente Pete Gill, passato ai Motorhead).
Sebbene la critica (e le vendite) attestarono un livello medio-basso per questo album, per il sottoscritto esso rappresenta il colpo di fulmine con la band: comprai il CD nel 1991, e fu amore a primo ascolto, di quelli che ti costringono ad acquistare l’intera discografia in poche settimane di sacrifici economici.
Effettivamente, a freddo, “Power & The Glory” è un disco dannatamente “Raw And Wild”, dalla produzione grezza e minimale, a differenza dei due precedenti album (Denim & Leather e Wheels Of Steel), rappresentanti l’apice del successo degli inglesi.
Ciò che si imputò ai Saxon di “Power & The Glory” fu il fatto che il disco mostrava un declino compositivo a partire dalla promettente title-track, opener ormai divenuta culto tra le fila degli aficionados, scatenante headbanging forsennati con il suo incedere semplice ma dannatamente Heavy. Il chorus è anch’esso ridotto all’osso, ma il suo clamore vale più di mille arrangiamenti.
Con “Red Line” si tocca un tema abusato per una riders-band: la song è un rock da biker, cadenzato e piacevole, ideale per un raduno di centauri.
Le novità non tardano ad arrivare, visto che i temi tipici dell’hard rock e della NWOBHM vengono lasciati un po’ in disparte, a favore di lyrics relative a una letteratura fantasy/epic (al tempo in fase di rinascita): è così che brani come “Warrior”, “Nightmare” e “Midas Touch” mescolano l’immaginifico mitologico, in grado di emozionare – è il caso della splendida “Nightmare” – al sudore tutto Heavy Metal di “Warrior”.
“This Town Rocks” è un’altra hit, con cui i Saxon strizzano l’occhio ai Whitesnake, e tornano al rock’n’roll inglese delle loro origini.
Ancora più hard rock oriented è “Watching The Sky”, col suo riffing ipermelodico e sornione, a metà strada tra Dokken e Van Halen.
Giunge finalmente la storica “The Eagle Has Landed”, song di cui si era fatto precursore l’omonimo live dell’anno precedente, seppure presentandone solo il titolo. Divenuta oggi un must nei Live Show, essa rappresenta forse la song più varia e impegnativa della band di Barnsley, con i suoi controtempi e soluzioni ritmiche raffinate e cangianti, atmosfere in continua evoluzione talmente ben congegnate da non disturbare i padiglioni auricolari degli ascoltatori più ortodossi. Il segreto sta ovviamente nel non allentare mai il tiro in fatto di melodia, e in questo sembrerebbe che i Nostri siano davvero dei Maestri. In effetti i sei minuti, tanti per una band che aveva abituato a pezzi sparati e strutturalmente semplici, scorrono con una facilità disarmante, e restano nella mente come nessun’altra prog (ahime l’ho detto!) song riesca a fare.
E’ giusto dare ai Saxon ciò che è dei Saxon, e se oggi nessuno nutre dubbi sul valore della band e in particolare di quest’album, un motivo ci sarà.
- Power and the Glory
- Red Line
- Warrior
- Nightmare
- This Town Rocks
- Watching the Sky
- Midas Touch
- The Eagle has Landed