Recensione: Powernerd
Zio Devin torna sugli scaffali dei negozi di dischi con un nuovo lavoro ed è sempre festa, o quasi. Nonostante l’album più atteso rimanga sempre quello orchestrale, The Moth, il geniaccio canadese trova comunque il tempo di dare alle stampe qualcosa di diverso e totalmente inaspettato. Powernerd è un nome che dovrebbe essere tutto un programma, invece si viene riportati sulla Terra molto presto. La titletrack, infatti, primo singolo del lavoro posto in apertura, lasciava presagire un album folle, roboante e il solito luna park townsendiano da leccarsi i baffi; quello che invece accade è un cambio totale di mood, inaspettato ma altrettanto indolore.
Powernerd è un disco di Devin Townsend che del Devin Townsend che conosciamo e amiamo ha davvero poco. E’ un’opera scritta e concepita in undici giorni, che fa della semplicità il suo punto di forza ma anche il suo grande difetto, che alla fine dei conti si rivelerà fatale. Ci troviamo per le mani una sfilza di canzoni pop-rock molto radiofoniche, piacevoli e da viaggio in macchina; dimentichiamoci quindi le stratificazioni sonore massicce, i dettagli maniacali, le trovate geniali, gli effetti speciali, togliamo anche il metal, i chitarroni e tutto quello che era Empath, arriviamo al nocciolo e otteniamo Powernerd.
Quello che ci troviamo ad ascoltare è quindi un Townsend sereno, che pare aver dimenticato (musicalmente parlando, ovvio) il male di vivere e il suo lato luciferino in favore di fiorellini, uccellini e tane di nutrie. Non che sia un male, anzi, ma questo non è neanche lontanamente Terria e si arriva persino a rivalutare Epicloud, che comunque qualche perla l’aveva. In ogni caso non tutto è da buttare, anzi, il trittico iniziale regge piuttosto bene; poi però, da Gratitude in poi arriva una pioggia di brani che a tratti rasenta lo stucchevole e i picchi in cui l’attenzione si rialza sono davvero pochi, con la sensazione di deja vù specialmente su alcune melodie. Non parliamo in ogni caso di brani brutti, ma di composizioni che, prese singolarmente, sono discrete; tutte di fila però risultano pesanti e con pochi sussulti. Jainism è il brano migliore di questa fase, che arriva al culmine con la bellissima Goodbye e, finalmente, il carico da 11: Ruby Quaker. Powernerd si attiva infatti nel suo gran finale e non fa prigionieri. Il problema è che per accendere la lampadina bisogna tirare fuori un pezzo rock ‘n’ roll d’altri tempi con un delirante testo dedicato al caffè, fare il Townsend, insomma. Questo brano dal vivo farà sfracelli, e ci si mette anche qualche blast beat per chiudere in bellezza.
Powernerd è un disco semplice, sia nei presupposti quanto nei contenuti. Se siete fan delle derive più metal di Devin Townsend, lasciate perdere; quelli che invece apprezzano il suo lato più soft potrebbero trovarci qualche spunto interessante, anche se i livelli qualitativi non sono eccellenti. Queste undici canzoni potrebbero essere buone per i neofiti e per chi volesse approcciarsi a Devin senza trame troppo complesse; per chi invece ne conosce molto bene la sterminata discografia e sa cosa sia in grado di concepire, Powernerd avrà la stessa durata di una zanzara. Che sia arrivato il momento di fare una telefonata a Gene Hoglan?