Recensione: Predator of the empire

Di Eugenio Giordano - 19 Maggio 2003 - 0:00
Predator of the empire
Band: Steel Attack
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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75

Dopo due dischi che non hanno suscitato un particolare responso della critica, ma che soprattutto nel secondo episodio “fall into madness” hanno mostrato una notevole capacità compositiva da parte loro, gli svedesi Steel Attack arrivano al contratto con la spagnola Arise e partoriscono quello che è senza dubbio il miglior platter della loro storia. Del power poco indovinato dell’esordio “where mankind falls” troppo anonimo e scopiazzato per poter uscire da un guscio impenetrabile di piattezza non resta più nulla, il gruppo è passato attraverso varie e difficili vicissitudini di line up che però lo hanno rafforzato nei suoi punti debili. In primo luogo il vecchio cantante, con la sua timbrica simil Helloweeniana è stato rimpiazzato dall’ottimo Dick che ha una possenza vocale di tutto rispetto e soprattutto canta di petto e non in falsetto risultando drammaticamente frontale e potente, sullo stile dei migliori singer statunitensi come R.J.Dio. Secondo, la sezione ritmica del gruppo si avvale di un nuovo batterista, decisamente più ispirato e violento rispetto al suo predecessore e in connubio a un basso finalmente oscuro e potente quanto basta sforna una sezione ritmica tellurica e potentissima, dove il riffing risalta molto più tagliante e cattivo e le strutture compositive aumentano la loro efficacia. Così si parte con la potenza frontale e dinamica della title track che spazza via i lavori precedenti del gruppo all’insegna di un metal classico e veloce che però non sfocia nella melodia banale e nel refrain già trito e ritrito da decine di altre band in altrettanti album usciti a destra e a manca. Ottima “cursed land” è un ottimo esempio di come la lezione dei Judas Priest possa essere assorbita e rielaborata in chiave più modenra sotto il profilo compositivo mantende quel fare motociclistico che ha dato il sapore inconfondibile a brani come “electric eye” che noi tutti veneriamo. Bello il ritornello centrale di “the darkenss” che, come già dice il totolo, si preannuncia come un brano oscuro nel riffing, ancora affiorano influenze di gruppi come Iced Earth o Omen, senza però snaturare il gruppo e il disco, che restano granitici e sconquassanti in ogni frangente. Spicca il metal anthem “heavy metal god” che nasconde una anima speed senza allontanarsi troppo dal tiro classicheggiante del resto del gruppo, ottimo il lavoro di chitarre pesanti e fottutamente frontali, insomma altro brano da incorniciare e che mi convince ancora di più su questo platter. Con “arise” e “nightmare” il gruppo tocca il limite compostivo del disco, sfornando due brani eccellenti e ben bilanciati dimostrando anche di saper dosare le energie e di saper ottenere un suono convincente e grintoso, sono parole che mi vengono spontanee ascoltando le vibrazioni di questo cd, una vera rivelazione. Gli Steel Attack non saranno dei mostri di originalità, nè rivoluzioneranno il mercato, ma questo terzo “predator of the empire” resta un disco che chi ama il metal nella sua estrazione più inossidabile e pura apprezzerà dalla prima all’ultima nota, io ve lo consiglio vivamente anche se non avete apprezzato il gruppo con i suoi dischi precedenti.
Eugenio “Metalgenio” Giordano

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